Quando scrivo o lavoro sono la certezza fatta persona. Raramente ritorno su quello che ho fatto. Non dico che faccio sempre bene anzi, ma non mi pento mai né penso cavolo questa cosa potevo farla così o la tal altra era meglio cosà. Quello che ho fatto va bene, se no la prossima volta andrà meglio.
Ma per tutto il resto, dallo scegliermi un maglione, un paio di scarpe, una borsa, alla ristrutturazione di casa, appena mi chiedono quale preferisci, ecco, io al “quale” sono già nel baratro. Da che me lo ricordi ho eliminato dalla mia vita qualunque colore che non sia il bianco, il nero e naturalmente il grigio, per evitare di ponderare scelte coloristiche di prima mattina. Il mio armadio è un ridicolo susseguirsi di cardigan di diversa tonalità di grigio, dal più chiaro al più scuro fino al nero.
La nostra casa nella quale se Dio vuole ci trasferiremo tra un mese, è tutta bianca. Pavimenti, pareti, soffitti, sanitari, luci, armadi, librerie. Tutto. Ho ceduto solo sul colore della cucina per amore di quell’anima pia che mi sta accanto, con la solita via di mezzo: il grigio. Ma l’esperienza è stata terribile. Quando Giancarlo è arrivato a casa con quella cosa orribile e disgustosa che si chiama mazzetta colori sembrava che avesse tirato fuori una Magnum. Fai un sospiro e siediti, gioia mia: scegliamo il colore della cucina. E alla fine ho partorito un grigio. Che direte voi che sforzo. Ma sapete quanti grigi c’erano in quell’oggetto infernale? Almeno cinquanta.
E poi non capisco il motivo per cui i nostri amici architetti (in odore di beatificazione) che ci stanno dando una mano e tutti gli operai dell’impresa tremano quando metto piede in cantiere. Ancora me lo chiedo. Sarà che sto meditando il terzo abbattimento di qualcosa già finito? Non ci avevo pensato, forse è per questo che stamattina mi hanno bloccata sulla porta e mi hanno trascinata a braccia nel bar sotto casa anche se non facevo che dirgli che avevo già fatto colazione. Mah.