Uno dei più grandi danni fatti dalla Lega Nord, oltre che alle persone da loro insultate, alla reputazione degli italiani del nord Italia e al paese in generale, e al livello del dibattito politico, è alla loro stessa causa – o per lo meno, alla causa che loro dicono di avere. Non so neanche più se sono in buona o mala fede, se davvero vogliono combattere l’immigrazione o solo tenere gli immigrati in uno stato di subordinazione perenne. Non ho mai capito esattamente come funzioni la Lega Nord, che senso abbiano le sue alleanze con partiti centralisti o nazionalisti, cosa possano dire di aver ottenuto, e se credano veramente in quello che dicono di voler fare. Si tratta di un partito xenofobo votato da gente che presumibilmente è la stessa che assume operai o badanti straniere, il cui film manifesto è girato in Romania perché costa meno e il cui ridicolo concorso di bellezza ammette ragazze di origine africane purché… qualcosa, non voglio neanche sapere cosa.
Vabbè. Forse in futuro ci dovremo preoccupare di meno della Lega Nord, travolta dai soliti scandali e forse, ma solo forse, seppellita dalla sua stessa stupidità, però dovremo ancora preoccuparci di come gestire l’immigrazione e di quali politiche adottare. A questo proposito oggi voglio dire solo una cosa molto semplice, ma che tutti sembrano essersi dimenticati: non è razzista voler aprire un dibattito vero sull’immigrazione. Non è razzista voler regolamentare il numero di persone che entrano in Italia (centinaia di migliaia ogni anno). Non è razzista chiedersi che impatto avranno queste persone sul nostro paese sovrappopolato, sul nostro ambiente, sui problemi che l’Italia affronta, e persino sulla nostra società e cultura. Il razzismo è un giudizio di inferiorità che pesa su un intero gruppo di persone come conseguenza della loro nascita o, in un’estensione più ampia, della loro appartenenza etnica o culturale. Il razzismo non è il reato di clandestinità: è un giudizio a priori, pieno spesso di contraddizioni e sfumature, come qualsiasi tipo di atteggiamento che attacca un’intera categoria di persone a prescindere. Persino il razzismo fascista, nonostante la retorica della razza italiana, fu un fenomeno complesso, in cui alle volte predominò l’aspetto biologico ma altre quello culturale (pensiamo ad esempio all’italianizzazione forzata). Non voglio dire che il razzismo non esista, ma ancor meno voglio che si tacci di razzismo una voce fuori dal coro che pone domande scomode a tutti. Sembrerà banale ma a leggere i giornali, sembra che all’improvviso l’occupazione principale di tutti sia piangere i morti di Lampedusa e lanciarsi a vicenda accuse di responsabilità e razzismo.
Dico queste cose perché sono stufa della confusione e delle accuse. Non a me ma a una serie di posizioni in generale. La mia posizione è molto chiara: al di là di preferenze e gusti personali, non ritengo si possa considerare oggettivamente una cultura, una serie di tratti somatici o una provenienza geografica superiore ad un’altra. Non ritengo nemmeno che il giudizio a priori di una persona, basato su aspetto e provenienza, possa essere più importante del giudizio a posteriori, basato sulla conoscenza del singolo individuo. Intendo giudizio in senso lato, come opinione. Quindi non sono razzista. Però lo stesso mi ritengo preoccupata per la crescita demografica soprattutto in Africa, e in alcuni paesi arabi o asiatici, e per l’assalto migratorio insostenibile (di cui comunque siamo corresponsabili). Sono arrivata addirittura, dopo mesi di letture, alla conclusione che la crescita demografica africana sia la più grande minaccia planetaria di questo momento storico e che se non facciamo qualcosa ne verremo tutti travolti. Andate a vedere i tassi di crescita, e capirete perché dico questo. Razzismo e colore della pelle non c’entrano niente.
L’Italia non può accogliere tutti gli immigrati che accoglie. Men che meno può accogliere tutti i disperati del pianeta: è fisicamente, assolutamente impossibile. Non siamo noi la soluzione, non sono le frontiere aperte, non è l’accoglienza e basta. Bisogna capire il fenomeno per quello che è e trovare altre soluzioni. Notare l’uso del plurale: soluzioni.