Cleo Viper con Jessabelle Thunder
Non sono mai stata in un backstage così affollato! commento, sorpresa ed esterrefatta. Siamo 9 performers a cambiarci, complimentarci, truccarci, spiarci e commentarci a vicenda, in uno spazio di una decina di metri quadrati. Per i non addetti al settore, il backstage di uno show Burlesque è un microcosmo di estremo fascino e interesse: un mucchio di donne dalla pelle chiara e perlata, profumi di creme e lacca, perline e paillettes che si sfregano inciampano cadono e creano un piacevolissimo sottofondo di rumori d’altri tempi, sovrastato dal chiacchiericcio acuto di voci emozionate e nervose, tacchi, falsi sorrisi e sincere emozioni. C’è chi si fa bella, chi cuce il reggiseno all’ultimo minuto, chi cerca l’eye-liner caduto sotto al tavolo, chi sorseggia un drink prima di salire sul palco.
Io a dire il vero mi metto in un angolo ed osservo, fingendo di non capire bene la lingua.
La domanda sorge spontanea: perché la promoter ha scelto di ingaggiare 9 performers, ognuna delle quali si esibirà con un solo act, pagando tutte nemmeno il minimo sindacale, e creando uno spettacolo esageratamente lungo e ridondante? E perché nessuna di queste performer si lamenta della paga, ma scodinzola contentissima elogiando l’organizzazione e l’afflusso di pubblico?
Sono felicissima, chiariamolo: è la mia prima esibizione oltreoceano. Mi sento fortunata. Orgogliosa e soddisfatta. E io sono pagata un poco di più delle mie colleghe (ma sempre dieci volte in meno del mio cachet in Italia, ndr). Ma il dubbio rimane. Imparerò presto che… questa è Los Angeles.
Le performer sono tante, troppe: il neo-Burlesque è arrivato una quindicina di anni fa, e nel tempo è invecchiato, ha perso l’entusiasmo e la grazia di una scoperta nuova ed emozionante, come ancora è in Italia. Perché ingaggiare due o tre performers, quando un locale può ingaggiare alla metà del prezzo tutta una serie di donne dalla voglia spasmodica di esibirsi? La “professione” della Burlesque Performer, purtroppo non esiste più, se non ai livelli alti e prestigiosi di Miss Exotica o Dita Von Teese, ovvio. Per il resto, Los Angeles è costellata di dolcissime ma a volte imbarazzanti ragazze con la voglia di mettersi in gioco, ma senza l’effettivo intento di prendere la cosa col dovuto impegno e la dovuta dedizione. Le mie colleghe, stasera, si esibiscono tutte con acts nuovi: preparati la settimana prima, se non la sera prima, con costumi di fortuna e props comprati al supermercato. Rifletto sul mio percorso: per preparare un act impiego dai tre ai 12 mesi, e non ne sono mai pienamente soddisfatta finché non l’ho portato sul palco almeno una decina di volte. Sono tutte ragazze e donne che durante il giorno lavorano in altri ambiti, e la sera hanno voglia di invitare il consorte o le amiche alla propria specialissima “esibizione burlesque”. Non sono malvagie, né cattive. Sono però, in qualche modo, le artefici inconsapevoli, insieme a un pubblico poco critico e promoter senza scrupoli, della deriva del Burlesque in questa grande città. La deriva del Burlesque, come di ogni altra arte in questa lunga “boulevard of broken dreams” chiamata Città Degli Angeli.
Ph. Tom Yi, www.tomyi.smugmug.com
Non vi è nulla di male, e non giudico le suddette performers con saccenza o arroganza. E’ il percorso che tocca ad ogni movimento, ogni arte, ogni idea, ogni moda: parte genuina e sincera, e si commercializza e svende con il passare del tempo, con il trascorrere delle stagioni. Si passa dalla QUALITA’ alla QUANTITA’… e si perde il gusto delle cose belle e ben congegnate, a vantaggio dell’abitudine all’ovvio e al ridondante.
Io in questo backstage mi sento diversa, appartenente ad un mondo molto distante da questo, e mi sento fortunatissima. Un mondo, quello europeo e in particolare quello italiano, dove ancora è possibile essere considerate delle Artiste, e Performer, e dove le richieste di cachet da parte nostra sono seriamente e fortunatamente considerate come tali. Il nostro lavoro richiede tempo, dedizione, impegno, costanza. Fatica. Per chi come me ne fa la propria unica fonte di reddito, è un lavoro a tempo pieno, fatto di vittorie e sconfitte, ma sempre con il presupposto di essere rispettata e considerata una professionista. Sorrido tra me e me… sì, sono fortunata. E mi verrebbe da gridarlo a tutte le mie college, una volta tornata nel Belpaese!
Ma una nota di pessimismo oscura il mio breve momento di autocompiacimento. E se anche in Italia emergessero nuove aspiranti performer che siano disposte a esibirsi per pochi denari, contro performers di più’ lunga e devota esperienza che invece richiedono il giusto compenso? E se anche qui il mercato sarà presto messo a dura prova dal prediligere da parte dei promoter della quantità a discapito della qualità? E se, scenario ancora peggiore, le nuove emergenti performer pretendessero di esibirsi secondo le medesime condizioni delle performer professioniste, producendo un decadimento qualitativo dell’intero panorama Burlesque italiano? Vorrei non pensarci.
Poi però, nel preparare il breve Workshop di Burlesque che mi è stato richiesto da un gruppo di entusiaste aspiranti performer… mi accorgo che il decadimento è già, forse, un poco, incominciato. Ed io ci sono dentro fino al collo.