Come, dove, quando verrà snaturata una parte importantissima del dettato della nostra Carta Costituzionale.
Mi chiedo cosa potrebbero pensare, in questo momento, alcuni padri costituenti che per cause naturali non potranno assistere all’ennesimo tentativo di attacco deliberato alla nostra Costituzione. Me lo chiedo perchè, di fronte all’intento scriteriato dell’attuale governo di sradicare alcuni capi-saldi di questa Nazione, credo sia necessaria una profonda riflessione sulla gravità e sulla -p e r i c o l o s i t à- della suddetta iniziativa.
Il ddl che il governo sta discutendo in queste ore circa la modifica di tre articoli della Costituzione italiana (41-97-118) altro non è che uno spregiudicato tentativo di sovvertire la natura stessa dello Stato così come è stato eretto dopo il disastro del secondo conflitto mondiale. L’Italia che conosciamo è il risultato del compromesso di forze politiche eterogenee sopravvissute alla dittatura, forze che di comune accordo (roba impensabile ai giorni nostri, dovrebbe far riflettere anche questo) hanno imbastito una struttura che conteplasse esigenze differenti. Con la spinta delle democrazie liberali alleate e con il loro contributo alla ricostruzione di un continente lacerato abbiamo ottenuto un’eredità certamente di stampo liberista, dove è garantita e tutelata la libera iniziativa economica del privato; grazie tuttavia alla collaborazione in seno alla Costituente di forze rappresentanti la sinistra (PSIUP-PCI) sono stati posti dei paletti a tali libertà cui si è deciso di porre, nel ruolo di garante, lo Stato medesimo. Avevamo creato un sistema, sistema che in seguito è divenuto spunto per tante altre democrazie più giovani della nostra. E’ diventato ciò che, coniando un’espressione inglese, si suole definire con “Welfare State”, Stato sociale.
La Dottrina, spesso, si è interrogata sul senso da attribuire a questa espressione, si è giunti a considerarla una sorta di compromesso tra le forze liberiste e quelle socialiste; una sorta di correttivo statale al capitalismo più sfrenato (?!)
Ora buona parte di queste garanzie potrebbe cadere, vediamo perchè:
L’articolo 41 recita “L’iniziativa economica privata è libera” e “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.” Nell’ultimo punto: “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”
La nuova formulazione. “L’attività economica privata è libera ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, con gli altri principi fondamentali della costituzione o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
In questo articolo, più che in altri, meglio emerge il limite deciso che si è voluto frapporre tra la libera iniziativa economica e uno Stato che garantisse la dignità e la sicurezza dell’Uomo-Cittadino-(Lavoratore). Così come si evince dalla nuova formulazione del primo comma possiamo notare come si cerchi di eludere quei paletti in favore di una norma di chiusura in un campo in cui risulterebbe oltre modo pericolosa. Va da sè che in un sistema giuridico la possibilità che la legge disciplini tutte le fattispecie concrete è cosa utopica infatti i giudici da sempre ricorrono a tecniche interpretative alternative per colmare le lacune (analogia legis-iuris, intrepr. estensiva ecc…) che nel nostro ordinamento sono elencate nell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale.
Quanto detto è, ovviamente, espressamente vietato dalla legge penale (Nullum crimen,nulla poena sine lege). Il secondo comma dell’articolo riformato riprende alcuni spunti del primo comma dell’attuale articolo ma omette totalmente la parte in cui si prevedono “programmi e controlli” dello Stato per fini sociali.
L’articolo 97 prende in esame i pubblici uffici che “sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. Nel loro ordinamento “sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni “si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.
La nuova formulazione. Nell’articolo 97 viene affermato che “le pubbliche funzioni sono al servizio del bene comune”.
La modifica di questo articolo, invece, si caratterizza per una formulazione più fumosa della normativa che ne uscirebbe a operazione conclusa. Si esamina, qui, l’attività della Pubblica Amministrazione intesa come l’apparato burocratico-amministrativo cui spetta il compito di operare per lo Stato, seguendone le linee guida, al servizio dei cittadini. Principi quali buon andamanto e imparzialità che si è voluto elevare a rango costituzionale (altri come, per esempio, economicità ed efficienza non lo sono ma sono comunque di notevole importanza) sono i cardini, per esempio, di buona parte della legislazione penale circa i delitti contro la PA. Cancellarli dal testo costituzionale non sarebbe un mera questione di dialettica ma un’operazione che legherebbe notevolmente le mani dei giudici di fronte alla comminazione di pene per reati quali, per citarne alcuni: corruzione, concussione, abuso d’ufficio. L’espressione “bene comune” a mio avviso non è abbastanza garante del buon funzionamento della Pa a causa della troppa genericità dell’espressione.
Nell’articolo 118 si legge che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”
La nuova formulazione. La revisione dell’articolo 118 prevede che gli enti locali “non devono solo favorire ma anche garantire l’autonoma iniziativa”.
Questa è, per me, la modifica la cui analisi è risultata di maggior difficoltà. Qua si tratta di analizzare concettualmente le differenze, seppur lievi, tra “favorire” e “garantire”. Il governo sostiene che questo sia il modo migliore per ottenere incentivi all’iniziativa dei privati e che, a questa esigenza, siano più sensibili gli enti locali visto il radicamento sul territorio e annessa gestione. Questione interessante e magari anche auspicabile anche se ci si può domandare quali potrebbero essere i costi e, soprattutto, dove reperire i fondi visto il taglio netto di alcuni introiti importanti per i suddetti enti (vedi Ici per i comuni). E’ oltre modo curioso che tutto il ddl sia improntato in modo evidente verso un’ottica liberista dei diritti, della gestione e dell’economia tranne quest’ultima modifica che presuppone un intervento più incisivo di “succursali” capillari dello Stato.
Insomma, lo Stato c’è o non c’è? Deve esserci o non deve esserci? Vorrei riuscire a capirci di più circa il percorso politico che il mio Paese sta cercando di intraprendere.
Sempre su questo ddl sembra che la parola d’ordine sia mantenere la parola e gli impegni presi con l’Europa, che non perde occasione per bacchettarci visti i parametri del Pil e del debito pubblico ancora ben lontani da quelli comunitari. Leggendo i giornali sembra che regni un ottimismo inspiegabile, se così fosse come spiegare crisi del tipo Fiat…
Una volta si parlava di modello americano, ora di modello Fiat; dopo il sistema elettorale alla tedesca, la democrazia francese…
A noi resta solo il berlusconismo all’italiana da esportare?
Jacopo Perosino
Fonte: gli artt. della Costituzione e relative modifiche sono stati presi dal portale multimediale de La Repubblica del 9-2-2011