di Iannozzi Giuseppe
L’aria lattiginosa stentava a sciogliersi nella luce del primo mattino: tutto l’intorno brulicava di corrotte trasparenze ch’erano sogni rimasti cagliati nella memoria di Giuseppe ormai sveglio ma non completamente. Il rigido inverno gl’aveva preso le giunture tutte e faticava non poco a tenersi in piedi, ma doveva alzarsi, uscire dal nascondiglio delle coperte. Ma solo per darsi una possibilità di sopravvivenza.
Il frigorifero contava poche cose: un brick di latte, un paio d’uova, una pezzo di sedano ingiallito, una bottiglia d’acqua, e una lampadina ormai spenta da una vita. Anna se n’era andata in un giorno d’inverno: lui s’era svegliato ma lei no, lei aveva continuato a tener gli occhi chiusi. Inutile fu scuoterla, prima delicatamente, chiamandola, poi disperatamente con una lagrima incastrata nella durezza delle cataratte. Un giorno sarebbe stato chiamato anche lui a Dio. Nessuno avrebbe versato una sola lagrima: non avrebbe lasciato dolore nel mondo, perché tutti quelli che aveva amato erano morti prima di lui.
Nonostante la stufa faceva freddo: per quel giorno decise di non scendere in paese fino alla drogheria. Non c’era niente da mangiare, ma quel niente gli sarebbe bastato per tutta la poca vita che gli rimaneva da consumare.
Smise di passeggiare nel freddo poco spazio dell’appartamento alla ricerca di chi non c’era più. Decise ch’era meglio tornare a letto, a dormire.