Questo è il racconto che chiude la raccolta: Non hai mai capito niente.
Buona lettura.
Il telefono squillò. Lui guardò lei, lei guardò lui. Entrambi volsero lo sguardo all’orologio a muro sopra il vecchio televisore Philips a tubo catodico. Segnava le nove e mezza, dalla cucina giungeva il suono della lavastoviglie che terminava il lavaggio. Fuori, la notte era una cappa di silenzio; a incrinarla solo il latrato di un cane. Il crepitio degli pneumatici di un’automobile sull’asfalto cosparso di ghiaia. Il vento che scendeva dalle colline e maltrattava infissi e alberi.
− Chi sarà? − disse lui; irrigidì la schiena, strinse i braccioli della poltrona in pelle.
− Fai presto a rispondere. C’è quel documentario sull’antica Roma.
La donna sedeva sul divano; recuperò il telecomando abbandonato sulla seduta e abbassò il volume. Stese le gambe corte su un basso sgabello foderato, si passò una mano sui capelli ingrigiti. Prese l’accendino e il pacchetto delle sigarette che teneva a portata di mano, su un piccolo tavolino accanto. Se ne accese una.
Lui allungò il braccio, alzò la cornetta, disse: “Pronto”.
Dall’altra parte udì un suono simile a quello di chi fa schioccare la lingua, perché sta mangiando. Lui ripeté due, tre volte: “Pronto”; lei disse:
− Metti giù. Avranno sbagliato.
Allontanò dall’orecchio il ricevitore quando la voce lo fermò:
− Sono il vicino del vostro appartamento in città. Quello del piano di sotto.
− Sì − però gli chiese di ripetere mentre cercava di ricordarne la fisionomia, il nome.
− C’è un problema. Una macchia nel mio bagno. Ci deve essere una perdita d’acqua. Bella grande anche.
L’uomo socchiuse gli occhi, si grattò la fronte. La donna disse:
− Che c’è?
Lui fece un gesto con la mano, di non preoccuparsi:
− Sì. Vediamo. Domani in giornata vengo giù a vedere. Di mattina magari.
− Si porti pure un muratore. Tanto c’è da spaccare.
− Grazie per avermi avvisato.
− Allora? − disse lei. Tossì. Frugò nelle tasche della veste alla ricerca di un fazzoletto, si soffiò il naso.
− È il vicino dell’appartamento in città. Quello del piano di sotto. Dice che c’è una perdita. Nel bagno.
− Dobbiamo venderlo. Ormai è una spesa e basta.
− No. E poi come fa a esserci una perdita se non ci abita nessuno?
Lei alzò il volume del televisore:
− Forse ce l’hanno occupato i marocchini. Stanno sfasciando tutto − soffiò in aria il fumo.
− Figuriamoci. Lo avremmo saputo, no?
Lei non rispose, fece un respiro profondo e si passò la mano sullo stomaco un paio di volte.
− Queste notizie − disse, − mi agitano.
− E tu non agitarti. E poi, che notizie? Che ti agiti a fare? Dovresti smettere di fumare invece.
− Tu non capisci. Se ce l’hanno occupato e nessuno se ne è accorto? Lo sai come sono questi negri.
− Come sono?
Non hai mai capito niente. 12+1 racconti di Marco Freccero
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