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Non immaginavamo di doverlo incontrare immerso tra i documenti

Creato il 13 luglio 2010 da Casarrubea

Non immaginavamo di doverlo incontrare immerso tra i docu...

Lucky Luciano

Non immaginavamo di doverlo incontrare immerso tra i documenti nella Reeding room di College Park, nel Maryland. Circondato da allievi della sua scuola di biblioteconomia sicula. Era così preso dalla sua ricerca che a mala pena ci riconobbe sollevando il capo da quelle sudate polverose carte dell’Fbi e della Squadra narcotici che aveva per le mani. A vederlo così, circondato da studiosi di mezzo mondo sembrava Capannelle, il grande caratterista del cinema italiano degli anni Cinquanta e Sessanta, collega di straordinarie scorribande assieme a Gasman, Manfredi e Mastrianni, in tante faccende affacendati. Non ultime quelle dell’Armata Brancaleone di Monicelli.

Se non fosse un vero amico, uno di quelli che magari ti fanno il gavettone quando arrivano le matricole in certe caserme dove è tradizione combinarne di cotte e di crude, potremmo anche pensare che Pasqualino Marchese si sia messo di buzzo buono a fare un mestiere che certo non gli è congeniale, visto che ama scrivere persino sul suo funerale e addirittura programmare la sua vita ultraterrena. Lo conoscevamo per le sue saporite storie  sull’evoluzione delle posate nei secoli, dai tempi di Omero ai nostri giorni, e persino sui pesci del suo paese, cioè Sciacca. Ma non avremmo mai immaginato che una sua grande passione fosse quella per l’onnipotente boss di Lercara Friddi, Salvatore Lucania, in arte Lucky Luciano, assurto negli anni Quaranta a capo indiscusso mondiale di Cosa Nostra. Averlo perciò immaginato in mezzo alle fonti di ricerca statunitensi per appurare una verità storica, è stato solo un nostro pio desiderio.

Sta di fatto però che in questi giorni ha pubblicato un libro su un tema a dir poco complesso, intitolato “La beffa di Lucky Luciano” (Coppola Editore) dove, pare, che finalmente, grazie proprio ai suoi sforzi, la questione annosa del contribuoto dato dalla mafia allo sbarco alleato, trova definitiva soluzione. Ci voleva il buon Marchese per trovare il bandolo della matassa e sciogliere a noi e a centinaia di poveri e ignari studiosi, l’angoscia suscitata da una delle più intricate questioni storiografiche del Novecento italiano e mondiale.

Poco conta che non abbia letto il paragrafo “Lucky Luciano e la nascita di Cosa nostra” (pp. 177-211) contenuto nel nostro libro “Lupara Nera” (Bompiani, 2009). Per carità di Dio, non che fosse obbligato a farlo, ma forse avrebbe evitato di far fare una brutta figura alla giornalista Amelia Crisantino che nel numero di Repubblica di Palermo, di domenica 11 luglio 2010, scopre l’acqua calda in un articolo a doppia pagina.

A Marchese non basta il supporto di luminari del nostro mondo accademico, perchè, pare che ne capisca di più e che sia riuscito persino ad andare ben oltre. Fatta eccezione per Michele Pantaleone che in “Mafia e politica” riferì la leggenda della famosa L lanciata con paracadute dalle truppe alleate sui cieli di Villalba, non si capisce bene a quali altre centinaia di storici si riferisca il buon Marchese quando, interprete unico della verità, ci racconta che gli americani non avevano certo bisogno di un pezzo da Novanta come Lucky Luciano, per sbarcare in Sicilia.

Ed ha ragione se non ci risulta che qualcuno abbia mai affermato una simile sciocchezza. Gli Alleati avevano centinaia di migliaia di mezzi aerei e motorizzati, armamenti tecnologicamente avanzati che impiegarono via mare e per i cieli per l’operazione Husky, e forse sapevano appena i nomi di qualche boss emigrato negli anni venti o trenta in Usa. Non avevano proprio bisogno di nessuno per sbarcare sulle coste della Sicilia. E’ vero che avevano mandato nell’isola un certo numero di agenti già nell’aprile del ’43, ma si trattava di soldati italo americani che parlavano correttamente il dialetto siciliano dei loro gentitori emigrati in America e avevano compiti di intelligence e di logistica militare.

Da quali documenti o da quali ignoti archivi spunti la notizia che Lucky Luciano abbia contribuito allo sbarco Usa, di solito, nessuno lo precisa. A meno che non si commetta l’errore di considerare storici volenterosi  e onesti pubblicisti come Gaia, Sansone, Ingrascì e Pantaleone. Voci popolari. Ed è facile “svuotare come un calzino” simili chiacchere. Ma la verità è un’altra. Emerge dalle carte del Nara (Maryland), ritrovate nel 2005, nel fondo “Lucky Luciano”. La storia dell’aiuto prestato dal boss allo sbarco serve solo a coprire una realtà ben più cruda. Nel 1951, ad esempio, Joseph Amato (Squadra narcotici, New York) afferma in un rapporto inviato a Washington che la mafia nel 1945 corrompe politici e funzionari dello Stato per fare uscire di prigione Luciano. La cifra complessiva delle mazzette arriva a 650 mila dollari. Notizia, questa, confermata da Charles Siragusa, agente della Squadra narcotici a Roma ed ex membro dell’Oss in Italia a partire dal 1944.

Siragusa, il 24 luglio 1952, racconta al capo della Commissione narcotici H. J. Anslinger di essersi incontrato a Roma il giorno prima con il giornalista Mike Stern, ex membro dei Servizi militari americani, coinvolto nelle oscure trame di Salvatore Giuliano negli anni Quaranta, e di avere appreso che Stern stava preparando un articolo sulla vita di Lucania per la rivista True, in uscita per il numero di ottobre. “Quando Luciano è stato intervistato da Stern, gli ha fornito anche alcune informazioni confidenziali che rafforzano i contenuti di un memorandum (datato 16 agosto 1951) scritto dall’agente della narcotici Joseph Amato. Nel documento si afferma che Lucky ha consegnato alle persone giuste una prima rata di 150 mila dollari, con l’obiettivo di fare uscire Luciano dalla prigione in libertà vigilata. Il costo totale delle mazzette successive, pagate dalla mafia italiana, ha raggiunto – dice Amato – la cifra di 500 mila dollari”.

Luciano chiede a Stern di giurare di mantenere il segreto.

La cosa importante da sottolineare è che anche Charles Haffenden, dei Servizi segreti della Marina americana, ha intascato una buona parte di queste mazzette. Ecco, dunque, perchè Haffenden racconta alla Commissione Kefauver che Luciano era stato liberato per i suoi meriti acquisiti durante lo sbarco americano in Sicilia. Un modo, questo, per coprire le sue vergogne di uomo corrotto.

Insomma, Lucky Luciano non serviva nel ’43, ma sicuramente dall’inizio del 1946. “Espulso” dagli Usa arriva infatti a Napoli il 27 febbraio 1946 a bordo di un piroscafo americano ed è subito preso in consegna da elementi mafiosi e dai Servizi segreti americani. Ora cambiano musica e maestro e per l’Italia inizia una nuova era. Nel nome della “Santissima trinità”.

Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino


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