Non lasciatemi solo è stata una delle frasi più toccanti, pronunciate ieri da Pisapia in piazza del Duomo, dove non ho potuto non recarmi di corsa per festeggiare questo giorno storico.
In quell'umile frase sta in fondo tutta la differenza che la destra e la sinistra hanno nella concezione della politica e dell'amministrazione della cosa pubblica. Se la destra propone l'uomo forte, che da solo, come un mago, si propone di salvare il mondo, la sinistra – così incisivamente rappresentata da Pisapia – pragmaticamente ci ricorda di come il bene comune può essere garantito solo se la collettività si fa politica, se ognuno, in fondo, si carica dei propri diritti, ma anche dei propri doveri. Se amministratori e cittadini sono, di fondo, la stessa cosa.
Ieri Milano era bella, ma così bella come non l'ho mai vista. Si respirava un'aria veramente di liberazione. E se non già dal fascismo, di certo era una liberazione dalla volgarità, dalla paura, dall'insinuazione, dall'idea che il forte vince sempre sul debole, il ricco sul povero.
Ieri, perfino un torinese come me, si è sentito in dovere di correre a Milano per omaggiarne la bellezza e la forza. Quella forza straordinaria che è sempre figlia della non violenza e di chi – le parole sono di nuovo di Pisapia – combatte l'odio con l'amore e la menzogna con la verità.
La lezione di Milano mi è poi anche utile personalmente: ormai consideravo il nostro paese senza speranza, pensavo che i cittadini si fossero davvero trasformati – per dirla alla Bonino – in sudditi e quindi in spettatori. Ero entusiasta di abitare in una città che era una sorta di enclave fortunata, dove da anni si parla un'altra lingua, quella dei diritti civili, del rispetto dell'altro, dell'integrazione., dell'impegno costante per il lavoro e per la garanzia di un futuro migliore per tutti. Un percorso che assolutamente non è completato. Ma la strada imboccata era quella giusta!
E oggi da Milano e da tante altre città (penso poi in particolare a Novara e Cagliari, oltre a Napoli) arriva un segnale nuovo: non siamo sudditi né spettatori, ma cittadini. Desiderosi di riappropriarsi del dovere che grava sul bene pubblico.