Magazine Diario personale

Non maleditemi, non serve a niente, tanto all’inferno ci sarò già

Da Iomemestessa

Son giorni cupi. Ovunque mi giri. E il lavoro, talora, è l’ultimo dei problemi.

Ultimamente, incontriamo gli amici più spesso ai funerali che altrove. Il che, qualche riflessione la induce, inutile negarlo. Oltretutto, quando si muore a 40 anni, o giù di lì, inutile girarci intorno, mica t’arriva un bel colpo secco, di quelli che ti trapassano dal sonno alla morte. No. Fai pure fatica.

Io ho solo una cosa, che mi terrorizza, più del morire, per dire. Restare lì. Come una bambola di pezza. Non più viva, ma neppure abbastanza morta da potermene andare. Per questo, tempo fa, ho scritto un testamento biologico. Che serve a poco, in questo Paese. Perchè qualcuno si arroga il diritto di decidere della mia vita, partendo da un presupposto che non mi vedo obbligata a condividere.

Molti facsimile, a pieno valore, circolano in rete e le mie disposizioni scritte e firmate le ho lasciate attraverso la compilazione di uno di essi. Qui voglio semplicemente affermare il mio sentire affinchè nessuno, in nessun momento, possa dire che certe affermazioni derivano da un momento di difficoltà psicologica.

Nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, le stesse che questo stato ha riconosciuto sufficienti a consentirmi di avere la patria potestà su mia figlia, dirigere un’azienda, pagare le tasse e non ultimo esercitare il diritto di voto, ecco, in nome di quelle facoltà, chiedo che, nel malaugurato caso in cui almeno due medici, e, di essi, almeno uno specialista nella patologia che mi sta invalidando, affermassero che non vi è per me nessuna speranza di tornare ad una vita di relazione dignitosa che mi consenta almeno di rapportarmi intellettivamente al circostante, vengano sospese senza meno tutte quelle terapie di supporto che mi mantengono in vita, e tra esse, la nutrizione parenterale e l’idratazione meccanica.

Vi prego di credere che la vita l’ho onorata sempre. Vivendo. E lottando. E credendo e sperando, nel futuro. Non mi è mai importato alcunché di bellezza o giovinezza. La prima sfiorisce, e la seconda trascorre. Ma ho sempre ritenuto di essere, prima ancora che un corpo, un cervello. E senza quel cervello, quel corpo si annulla.

Chi mi conosce sa che non ho mai avuto desideri di accumulo, e ho sempre considerato il denaro un mezzo, che avvicina alla libertà, ma mai un fine. Suprema per me è stata sempre la difesa della mia dignità. E dignità è molte cose.

Se la mia mente fosse spenta, riterrei una violenza sulla mia persona l’idea che vi sia qualcuno che fa fare movimento a muscoli che non userò, a gambe che non saliranno più scale, a mani che non scriveranno, a braccia che non abbracceranno.

E se la mia mente fosse accesa, ma incapace di comunicare e interagire, ancora di più lasciatemi andare. Che chi mi conosce sa quanto per me sarebbe orribile avere come orizzonte il perimetro di un lenzuolo, e averne coscienza, e bramare di dire. E non poter dire. E se vi interrogherete sul significato di quel battito di ciglia, vorrà solo dire per favore. Se fossero due, ho aggiunto anche grazie.

E a coloro che mi hanno amata, e ancor mi amano, so di lasciare oltre al dolore il fardello della mia battaglia. Fardello che si sarebbero potuti risparmiare, se questo Stato imbelle permettesse che il diritto alla vita potesse coesistere con la libertà individuale di tutelare la propria dignità

E se in questa battaglia dovessero essere inscenati i soliti indegni carrozzoni farciti di veglie di preghiere, e pagliacciate assortite, vi prego fottetevene. Dopo una vita trascorsa a tenerli fuori dalla mia porta, non permettetegli, in nessun caso, di lasciarli rientrare dalla finestra. Perchè per loro questa è una battaglia ideologica, dello stesso valore di quella per le foche monache. Mentre per me rappresenta l’orizzonte dei miei giorni futuri.

E se vi diranno di pensare a mia figlia, rispondete che già ci state pensando. E che ci ho pensato pure io. E il risparmiarle di far visita per anni a una bambola di pezza che un tempo era la sua mamma, è l’ultimo regalo che posso farle. Per permetterle di ripartire con la sua vita. E non avere un memento del dolore ogni giorno, perchè solo quello sarei.

E dopo, quel che resta di me, se ancora utile, se ancora servibile, donatelo. Affinchè il mio cuore possa emozionarsi ancora, i miei occhi vedere un tramonto, i miei polmoni inspirare l’odore dell’erba appena tagliata dopo la pioggia, il mio fegato filtrare un buon bicchiere di vino.


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