Confesso che all'inizio ho faticato, i personaggi sono molti e le vicende complicatissime, ma poi l'antica magia mi ha ripreso e sono precipitata in un cortile di Gaomi, mi sono accomodata sotto l'albicocco storto e ho partecipato alle mille storie che si svolgevano come su un palcoscenico intanto che la storia della Cina procedeva al galoppo dagli anni cinquanta del novecento fino alla fine del secolo. Ximen Nao è un proprietario terriero che viene giustiziato come nemico del popolo agli inizi del maoismo ma non vuole riconoscersi colpevole davanti a Yama, re degli inferi, e viene così condannato alla reincarnazione finché non avrà spurgato ogni traccia di rabbia per essere stato ucciso. Rinasce il 1º gennaio 1950 nel villaggio che porta il nome della sua famiglia, Ximen, nel corpo di un asino, diventando poi un toro, un maiale, un cane e una scimmia, e finalmente un essere umano.
Ci sono più voci narranti che si alternano, umane e bestiali: il punto di vista delle sei reincarnazioni è irresistibile, mentre a poco a poco gli animali dimenticano il proprio passato umano, il ricordo delle emozioni e dei pensieri di Ximen Nao si fa sempre più labile mentre la natura di bestie prende il sopravvento. I più divertenti e movimentati sono forse il maiale e il cane, ma anche il toro non è certo deludente. Tra i moltissimi personaggi c'è anche Mo Yan, sempre presentato fin da bambino come ambizioso, bugiardo, fastidioso, incapace di capire i momenti che vive ma soprattutto inaffidabile e cattivo scrittore, in un giochetto forse un po' insistito, prima di diventare anche lui voce narrante nella parte finale dove scoppia un parossimo di crudeltà e follia che fa pensare che Mo Yan non sia ottimista sul presente della sua patria.
E' un libro che richiede attenzione e tempo, non si può leggere una pagina prima di dormire, ha spessore e complessità per dieci. C'è dentro materiale romanzesco e riflessione storica che a un autore normale basterebbero per una decina di romanzi. Ho ritrovato tutto quello che mi aveva fatto innamorare, l'immaginazione sfrenata, la capacità di scivolare nel fantastico senza cambiare tono, la meravigliosa scrittura antinaturalista e espressionista al massimo, i personaggi complessi e divertenti, l'ironia, il grottesco, gli eccessi; in più qui c'è anche una vena poetica che si esprime nelle molte scene dedicate alla luna. Mi ha riconciliato con quel filino di noia che mi aveva preso leggendo Il supplizio del legno di sandalo e Grande seno, fianchi larghi. La mia ammirazione per Mo Yan è incondizionata, non è certo la prima volta che la esprimo.
La fluida traduzione è di Patrizia Liberati, e all'inizio c'è un opportunissimo elenco dei personaggi che aiuta molto nella lettura. Comunque per apprezzarlo ricordatevi di dare a Mo Yan quel che è di Mo Yan: molta attenzione, concentrazione e tempo. E la mia prossima mossa sarà leggere Le canzoni dell'aglio, che mi aveva divertita moltissimo quando l'ho letto tradotto in inglese e finalmente è uscito in italiano.