Si arriva al film per vampiri per eccellenza e al primo vero e proprio CAPOLAVORO della Storia del Cinema. Provo a scrivervelo nella a me familiare lingua tedesca: Nosferatu Eine Symphonie des Grauens (suono dolcissimo, non trovate?!?). Tradotto per farla semplice: Nosferatu (suono altrettanto dolce, nevvero?).
Siamo in Germania, l’anno è il 1922 e c’è un regista tedesco che prende un libro d’orrore in mano (il Dracula di Bram Stoker) e capisce di volerne fare un film, non necessariamente comprando i diritti d’autore o cose legali simili (no, lui ne fa a meno…). Quello che ne verrà fuori sarà l’ultima avventura di uno dei succhiasangue più importanti per i mangiatori di cinema come me e il punto più light e importante dell’Espressionismo tedesco.
Perché è così importante?
1. La storia. Come vi ho già accennato, Nosferatu è un plagio del romanzo di Stoker (ed è inutile che lo neghi, perché è così e fine) che però preso in mano da Murnau ne fa uno dei film di mostri più riusciti del cinema degli Anni Venti. Il regista tedesco non ne copia in toto la storia e i personaggi, si limita a seguire gli spostamenti del vampiro e di alcuni suoi protagonisti in linea generale. Uno stratagemma che non servì a granché, visto che la vedova di Stoker li volle comunque morti quando vide il film. Infatti, chiese e ottenne la distruzione di tuuuuuutte le copie del film nel lontano 1925. Murnau, che ovviamente non era un idiota, invece di incenerirle tutte, ne salvò una. L’unica copia grazie alla quale è stato possibile tramandare il film fino a noi: anno 2014… e futuri. Ma con che faccia ci volevano togliere da sotto gli occhi la poetica didascalia: «E poi i morti gli andarono incontro»? Come? COME!?!
2. Espressionismo. Fra tutti i movimenti della Storia dell’Arte, l’Espressionismo ha trovato i suoi più alti picchi di perfezione estetica nel cinema. Potete dirmi che Il gabinetto del Dottor Caligari del 1919 di Robert Wiene non vi lascia a bocca aperta? Potete sostenere che Il Golem di Paul Wegener del 1920 non è un’opera artisticamente ad alto livello? No, non potete. Appunto. Zitti. Nosferatu fa parte di questa triade e ne rappresenta il punto più alto in un ipotetico triangolo che sto disegnando all’interno della mia testa proprio in questo momento. Lo schermo illuminato da un gioco di luci e forme, la caratteristica silent che lo rende un horror muto e primitivo e che approfitta dell’assenza di rumori, suoni e dialoghi per rimpinzarlo di incubi visivi. Incubi visivi che sono simboli di quelle paure e ossessioni molto attuali in una Germania uscita dalla Prima Guerra Mondiale e che stava per abbracciare le dottrine italiane del fascismo. Murnau fa tutto questo. Prende questa e quell’altra paura, le immerge in un calderone che fa apparire quella realtà filmata un terribile incubo e le impone al pubblico seguendo dogmi, dettami e caratteristiche di un movimento che aveva abbracciato e che nel film si esplicano nel particolare taglio delle inquadrature, nel montaggio parallelo e in nuove soluzioni tecniche. Una cosa che, oggi, vi pare scontata ma, molti che si fregiano dello status di autori ‘ste cose non le fanno proprio!
3. Il vampiro. Fra tutti i personaggi immemori, nobili e antichi che melodrammaticamente prendono parte a questa sarabanda di morte (oggi argomento allegro per iniziare la settimana, lo so), quello che la vince su tutti è il Conte Orlock ovvero il vampiro, il nosferatu. Ogni volta che appare in un’inquadratura lascia dietro di sé una indicibile e persistente inquietudine a causa del suo aspetto mostruoso che lo fa apparire lo strano incrocio umano fra un pipistrello e un insetto (e infatti somiglia a Giulio Andreotti e Sallusti). È lui il vero burattinaio della storia e, potremo dire, metaforicamente, anche la trasposizione del regista (ma questo è un discorso che affronteremo magari più in là nel tempo quando mi sentirò più forte per espormi in questa simbologia). Interpretato da Max Schreck (che in suona un po’ come “massimo terrore” e fu un nome che rimase così impresso nella mente di Tim Burton da spingerlo a chiamare così il Sindaco di Gotham City in Batman – Il ritorno del 1992, quello interpretato da Christopher Walken… Matteo Renzi, del resto, era un nome che era stato già scelto da qualcun altro…), per molto tempo si ipotizzò che, sotto tutto quel trucco, si nascondesse lo stesso Murnau. EHHHH. Errore! E non era neanche un vero vampiro come si teorizza in L’ombra del vampiro. Trattasi, invece, di un ottimo caratterista cinematografico e teatrale nato a Berlino nel 1879 e morto a Monaco di Baviera nel 1936, che per di più, nel film ha l’occasione di recitare accanto alla moglie, la quale ha un piccolissimo ruolo (quello di una suora). Ecco, dunque svelato il segreto dietro cui si cela la morte che cammina, il seminatore della pesta, il signore dei ratti che svicola schifoso e furtivo negli angoli bui di Brema, cercando di dominare tragicamente la vita dei mortali. La cosa più spaventosa? Scegliete voi. Mani dalle unghie oblunghe? Forma del viso? Orecchie a punta? Denti? O quegli occhi che vi fissano dal sepolcro? A me fa ancora rabbrividire quella figura che si alza fra le sartie del veliero fantasma Demeter.
4. Scenografie. Il contesto naturale è la grande rivoluzione che Murnau compie all’interno del movimento Espressionista. Vado a spiegare meglio. Come principale caratteristica estetica e artistica, l’Espressionismo prevedeva la rilettura degli ambienti secondo un’ottica personale che avrebbe portato l’artista a riprodurre lo spazio a seconda dei sentimenti, delle emozioni e dello stato d’animo che quello spazio o la situazione legata ad esso avrebbero portato nei personaggi. Ecco, Murnau mette tutto questo dentro un water e tira la catena. Rinunciando a ciò, lascia che gli ambienti circostanti rimangano immutati e che non sia applicata a essi alcuna metamorfosi artificiale. Anzi, aiutato dalla luce, riesce comunque a trasporre nelle location ciò che i personaggi provano. Vuoi che siano brulle e deformi montagne dei Carpazi, vuoi che siano le dune dei sabbia di CERMANIA, vuoi che si parli delle spettrali vie di Brema. I luoghi dove i personaggi si muovono hanno comunque una valenza straziante e lì dove c’è il minimo apporto dei tecnici si deve principalmente ad Albin Grau (che fu, oltre che scenografo, costumista).
5. Carrozze. Che siano funebri o si tratti di un vero e proprio cocchio, sono uno dei simboli più forti del film e protagoniste di alcune delle scene più importanti dell’opera. Murnau, in quella sequenza dove il Conte Orlock la guida per andare a prendere lo sfortunato viandante che dovrebbe occuparsi del suo trasferimento a Brema, la impone in negativo. Mentre nella corsa del carro funebre con il non-morto dentro la velocizza grottescamente e la cosa non sembra nemmeno ridicola (è un attimo, per dire, ad arrivare a Benny Hill).
Fabio Secchi Frau