La voce della poetessa Hilde Domin (1909-2006) ci giunge da tempi remoti: versi apparentemente semplici, essenziali, colmi di esperienza vissuta. Poesie di vita e di morte, di gioia e di dolore che con un tono laconico, quasi sottovoce, girano intorno agli eterni temi della poesia.
La Domin, come lei stessa testimonia, è arrivata alla poesia quasi per caso. Infatti racconta di aver scritto i suoi primi versi subito dopo la morte della madre, quando si trovò in esilio insieme a suo marito – e grande amore della sua vita! – lo studioso e scrittore Erwin Walter Palm. Di origine ebraica, all’inizio della seconda guerra mondiale Domin aveva dovuto lasciato la Germania, trasferendosi dapprima in Inghilterra e, successivamente, nella Repubblica Domenicana, dove sarebbe vissuta per quattordici anni, prima di tornare in Germania nel 1954.
La sua poesia nasce quindi nel cuore di un dolore, dall’impotenza davanti alla morte. Poesia come elaborazione della vita vissuta ossia come tentativo di comprendere, di scendere nella profondità del vissuto per risorgere nella parola.
Questa è la costellazione dell’opera poetica di Hilde Domin.
In un’epoca, in cui le correnti letterarie dominanti portavano o all’avanguardia o alla politica, lo sguardo di Hilde Domin rimane incorruttibile. In relativa solitudine, lei continua a cogliere le cosiddette piccole cose della vita per trasformarle in poesia. Siccome, così sembrerebbe, s’accontenta di poco, riesce a trovare la sua voce inconfondibile: una voce quasi neutra che trascende il proprio contesto storico, aprendo uno spazio a-temporale.
Ed è proprio questa lieve sospensione del tempo che facilita al lettore, non soltanto di madrelingua tedesca, di entrare in comunicazione con i suoi versi. Domin si riferisce all’esperienza archetipo dell’uomo, perciò ognuno può trovarvi frammenti del proprio vissuto. La dimensione universale della sua poesia rende facile anche la traduzione di Ondina Granato che scivola in modo più naturale da una lingua nell’altra.
La poesia di Hilde Domin vuole consolare. Finché l’uomo è in grado di testimoniare se stesso e finché riesce a riconoscersi e a diventare riconoscibile nella letteratura e, più in generale, nell’arte, nulla è perduto.
Nella migliore tradizione ebraica, per Hilde Domin la parola possiede potere salvifico. Nella poesia “Parole” scrive: Le parole sono melagrane mature/ cadono a terra/ e si aprono./ Tutto l’interno si volge all’esterno,/ il frutto denuda il proprio segreto/ e mostra il suo seme,/ un segreto nuovo.
Il merito va all’editore Del Vecchio e alla curatrice Paola Del Zoppo che propongono una selezione dell’opera poetica di Hilde Domin in una bellissima edizione tascabile, arricchito dalle preziose tele della pittrice Janet Brooks Gerloff. Un libro che sta benissimo in borsa. Perché la poesia non va chiusa tra le quattro mura di casa,nelle aule scolastiche o all’università, ma va portata proprio laddove nasce: nella vita. Così come l’uomo ha e avrà sempre bisogno della poesia, così la poesia ha bisogno dell’uomo. Secondo Giovanni Roboni, non ci può essere una definizione di poesia. La poesia non esiste, se non nell’attimo in cui “succede”.
Che sia il lettore a far “succedere” le poesie di Hilde Domin in mezzo alla propria vita.
Stefanie Golisch
Con l’avallo delle nuvole. Hilde Domin. Poesie scelte. A cura di Paola Del Zoppo e Ondina Granato. Del Vecchio Editore 2011.
ISBN : 978-88-6110-016-9