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Non tutte le ciambelle escono col buco: quando alcuni libri proprio non ci vanno giù.
Creato il 11 aprile 2013 da FrencinaNell'attesa di lanciarmi in quella che sarà un'appassionata recensione del libro che sto leggendo adesso (trattasi di Stoner, che già vi consiglio spassionatamente anche se non l'ho ancora finito), ho deciso di parlarvi di due libri che ho letto poco tempo fa e che mi hanno lasciato l'amaro in bocca, seppur per motivi differenti.
Il primo dei due è "Mirtilli a colazione" di Meg Mitchell Moore che ho visto per la prima volta sul periodico de "Il Libraio" l'anno scorso. Come al solito sono rimasta fregata dal titolo italiano bellissimo che, nell'originale, è in realtà "The Arrivals" e che renderebbe decisamente meglio quella che è la storia che viene narrata.
Intendiamoci, un vago profumo di mirtilli tra le pagine si sente e in una recensione trovata sul web si diceva che il momento della colazione è uno dei pochi attimi in cui la famiglia si ritrova insieme intorno al tavolo, in intimità e confidenza. E, tutto sommato, ci può anche stare anche se la famiglia di cui si parla di colazioni insieme non ne fa nemmeno una.
In breve, in questo romanzo si racconta di un tranquillo giorno di inizio estate in cui Ginny e William si ritrovano in casa la figlia più grande Lilian con i suoi due figli Olivia e Philip. La donna è scappata da casa abbandonando il marito, dopo aver scoperto che questo l’ha tradita con la sua giovane e magra segretaria.
Qualche giorno dopo arriva anche Stephen, il figlio di mezzo, con la moglie incinta di sette mesi. Lui è un editor freelance, lei un’affermata donna in carriera che guadagna di più; è per questo che hanno deciso, di comune accordo, che lei tornerà a lavorare dopo appena un mese dal parto e sarà Stephen ad occuparsi del bambino e lasciare il lavoro.
Ultima ad arrivare è Rachel che vive a New York, ha un lavoro più o meno soddisfacente, una storia d’amore finita e un aborto spontaneo capitato poco tempo dopo aver scoperto di essere incinta. Tutto questo, tutto insieme, è troppo e così decide di rifugiarsi anche lei a casa dei genitori.
Quello che ne viene fuori è una quotidianità incasinata e chiassosa in cui William e Ginny si trovano a ricordare i loro figli da piccoli, rivivono il loro allontanamento e l’improvviso ritorno a casa come un desiderio tanto agognato ma forse non proprio voluto.
Quello che manca, però, e che secondo me è fondamentale, è il dialogo che si ha tra genitori e figli, quello che inizia da piccoli e che cresce e si modifica insieme ai bambini che diventano grandi. Nella mia testa, se i figli stanno attraversando un periodo un po' così e decidono di tornare a casa dei genitori, in quel nido di protezione e calore nel quale si sentono bene e sicuri, implica che hanno anche voglia di parlare dei loro problemi con la mamma e col papà per avere un confronto e un conforto. O per lo meno, questo è quello che farei io, ma probabilmente non è quello che si prova in America, dove i figli lasciano la casa paterna e diventano indipendenti molto prima che qui da noi in Italia e, forse, quel cordone ombelicale che lega genitori e figli si spezza prima e in un modo pressoché definitivo.
Forse a causa di questo modo diverso di interpretare la famiglia e l'aiuto che può dare, non sono riuscita ad apprezzare fino in fondo questo romanzo che, tra l'altro, ho anche trovato un po' piatto, sommario e superficiale.
Il secondo libro è "Io prima di te" di Jojo Moyes, per commentare il quale devo raccogliere tutta la calma zen di cui sono dotata, altrimenti rischio di scrivere uno srpoloquio ingiurioso più che un commento sensato e ragionato.
Ci sono libri dai quali mi tengo a distanza automaticamente non appena vedo la loro copertina e il titolo. Sono quei libri che, attraverso questi due elementi, esprimono già appieno il loro contenuto e io di solito non mi avvicino a quelli pseudo harmony, ai libri erotici che adesso vanno tanto di moda, ai fantasy e alle storie d’amore troppo stucchevoli e troppo sdolcinate.
Ecco perché non avrei mai letto questo libro se a chiedermelo non fosse stata Sonia (che adesso mi deve decisamente una pizza!), che lo ha letto, non lo ha apprezzato (a differenza di molte altre persone) e aveva bisogno di un parere “fidato”.
Protagonista di questa storia è Louisa, una ragazza di ventisei anni ingabbiata nella sua routine quotidiana, che vive all’ombra di una sorella più intelligente, con un padre sarcastico che la prende in giro, una madre ossessionata dalla pulizia e un fidanzato ossessionato dallo sport e dalla forma fisica.
E poi c’è Will, un ragazzo giovane, bello, ricco e amante della vita fino al midollo. Una mattina, mentre sta andando a lavoro, una moto lo investe rendendolo tetraplegico.
Le loro strade si incontrano quando Lou perde il lavoro alla caffetteria e si iscrive ad un centro per l’impiego. Dopo diversi tentativi falliti, le propongono un lavoro di sei mesi dove dovrà fare compagnia ad un tetraplegico. La ragazza è titubante nonostante le abbiano assicurato e precisato che non dovrà somministrare medicine o occuparsi dell’igiene intima del paziente, ma alla fine, sotto l’insistenza dei genitori, cede e accetta il lavoro.
Inutile dire che tra Will e Lou non sarà amore a prima vista, ma lui si comporterà in modo sgradevole ed irritante fino a che… non vi svelo nulla, perché sapete già come andrà a finire: qualsiasi coma immaginiate possa succedere, succederà.
Questo romanzo è l’insieme di tutti i luoghi comuni presenti nei romanzi rosa cui l’autrice ha voluto aggiungere una nota ancora più tragica: la tetraplegia. Quello che è arrivato a me e che mi ha decisamente irritata, è che l'autrice, consapevole di star scrivendo l'ennesimo banale romanzetto rosa, abbia avuto la bella pensata di inserire l'incidente e la paralisi di Will per riabilitare in qualche il romanzo insulso che in realtà è. E a quanto pare ha funzionato perché sono davvero in tanti ad aver amato questo libro. E, per carità, una lacrimuccia alla fine l'ho versata anch'io, ma il sillogismo verso una lacrima per i bei libri, ho pianto per "Io prima di te", allora io prima di te è un bel libro secondo me non funziona proprio per nulla. Perché un romanzo che parla di tetraplegia, di morte dolce, di sentimenti può anche far piangere all'ultima pagina, ma deve anche aver toccato corde profonde prima, cosa che questo libro non ha fatto essendo composto da una serie infinita di luoghi comuni e banalità degne di un qualsiasi feuilleton di bassa lega.
Cigliegina sulla torta, se qualcuno di voi ha letto “Il diavolo custode” non farà alcuna fatica a trovare un sacco di somiglianze e analogie tra la storia di William e quella di Philippe. L’unica accortezza della Moyes è stata quella di sostituire l’amicizia con l’amore creando una storia prevedibile e insulsa dalla prima all’ultima pagina. E non avete idea l'ira funesta che ha suscitato in me questa scopiazzatura nemmeno troppo velata fatta nei confronti di un libro che io ho amato molto.
Insomma, ascoltate me, state alla larga da questa fregatura perché ci sono davvero un sacco di altri romanzi che parlano d'amore e che sono decisamente più belli e più meritevoli di questo.
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