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Non un cristallo, ma quasi

Creato il 28 gennaio 2012 da Stukhtra

Cronaca della fine di un paradigma scientifico. Con colpo di scena finale: il quasicristallo arriva dallo spazio

di Mattia Luca Mazzucchelli

ResearchBlogging.org
Sono stati scoperti nel 1982 ma hanno avuto un po’ di notorietà pubblica alla fine del 2011, quando al loro scopritore è stato assegnato il Premio Nobel per la chimica. Che cos’è un quasicristallo? Il “quasi” nel nome fa pensare a qualcosa di vago, ma in realtà la sua struttura è ben definita e rappresenta il superamento del concetto di cristallo.

Anzitutto va detto che nelle scienze dei materiali il cristallo non è quello dei bicchieri del servizio buono, che, per quanto ben lavorato, rimane vetro, una sostanza amorfa con una disposizione disordinata degli atomi che lo compongono. Al contrario, i veri materiali cristallini sono sostanze solide in cui i costituenti (atomi, molecole, ioni) sono disposti secondo una struttura ordinata su lunghe distanze. E per gli scienziati, fino al 1984, “ordinata” equivaleva a “periodica”.

In altri termini, si pensava che un cristallo non fosse altro che la ripetizione all’infinito di un’unità fondamentale (la cella elementare). Se si vuole vedere lo stesso concetto in due dimensioni, un cristallo è come un pavimento piastrellato: piastrelle uguali vengono posizionate una accanto all’altra finché non hanno coperto tutto il pavimento senza lasciare spazi. Per fare questo lavoro si potranno scegliere rettangoli, triangoli, quadrati, esagoni. Ma con i pentagoni resteranno degli spazi vuoti. Ognuna di queste forme ha un asse di rotazione che passa per il proprio centro, cioè ruotandola di 360 gradi si trova un certo numero di posizioni in cui la piastrella è uguale a com’era in partenza. Ad esempio un quadrato incontrerà quattro posizioni (ognuna a distanza di 90 gradi dalla precedente) in cui sarà indistinguibile dalla situazione iniziale, e perciò si dice avere un asse di rotazione di ordine 4. Questo semplice esperimento mostrò ai primi cristallografi che una simmetria rotazionale di ordine 5 (il pentagono) è incompatibile con la traslazione, così come le simmetrie superiori a 6. E, dato che nei cristalli si dava per certa la presenza della traslazione, l’osservazione diventò un paradigma per la cristallografia: nei cristalli non esistono simmetrie di ordine 5 e superiori a 6.

Non un cristallo, ma quasi

Con degli esagoni puoi piastrellare il bagno. Con dei pentagoni non viene un gran bel lavoro. (Cortesia: M.L. Mazzucchelli)

Per il paradigma la vita fu tranquilla e sicura fino al 1982, quando Daniel Shechtman, uno scienziato israeliano che allora lavorava al National Institute of Standards and Technology (NIST), negli Stati Uniti, trovò qualcosa che proprio non doveva esistere. Shechtman stava analizzando una lega metallica (e cristallina) di alluminio e manganese con la diffrazione elettronica. La tecnica consiste nello sparare un fascio di elettroni sul campione e vedere che cosa appare su uno schermo posto dietro il campione stesso. Dato che gli atomi del cristallo sono disposti ordinatamente, il campione produce diffrazione e sullo schermo compare una figura che rappresenta il grado di simmetria della struttura che l’ha generato. E in effetti la figura apparve, ma con una simmetria rotazionale di ordine 10. “Di ordine 10???”, annotò nei suoi appunti Shechtman. C’era qualcosa che non andava. Lo scienziato ripeté l’esperimento e controllò che il campione non avesse impurezze, ma sembrava tutto corretto. Allora divulgò il risultato ai suoi colleghi… e fu l’ilarità generale. Come dire a un astrofisico che la Terra è il centro dell’universo. Gli consigliarono di ristudiare le basi della cristallografia e lo allontanarono dal gruppo di ricerca. Trovato l’appoggio di altri due scienziati, Shechtman riuscì a pubblicare la scoperta su “Physical Review Letters”. La notizia si diffuse tra i cristallografi, eppure ancora non bastava a convincere la comunità. Addirittura, Linus Pauling, chimico di fama mondiale e due volte vincitore del Premio Nobel, affermò sprezzante: “Non esistono quasicristalli, esistono solo quasiscienziati”.

Perché, se l’osservazione sperimentale era corretta, il problema divenne darne una spiegazione coerente. L’aiuto arrivò dai matematici che già da 20 anni erano impegnati nel capire se fosse possibile costruire con un limitato numero di tessere un mosaico che non si ripetesse mai uguale. Ci riuscì Roger Penrose, che realizzò nel 1976 la “tassellatura di Penrose” usando solo due tipi di tasselli, entrambi di forma rombica. Questa tassellatura è un mosaico nel quale un rombo non si può mai sovrapporre per mezzo di una traslazione a un altro dello stesso tipo. Però le figure che si vengono a formare possono avere assi di rotazione di ordine 5 o superiori a 6. Come curiosità storica, va detto che in realtà quello di Penrose non era il primo tentativo di realizzare una struttura del genere. Peter Lu, della Harvard University, e Paul Steinhardt, dell’Università di Princeton, in un articolo, pubblicato nel 2007 su “Science”, hanno proposto uno studio su alcuni mosaici e papiri islamici arrivando alla conclusione che alcuni architetti, tra il XIII e il XV secolo, erano in grado di realizzare decorazioni aperiodiche basate su cinque tessere, dette girih. Non è chiaro se il risultato sia stato raggiunto per via matematica o per tentativi, ma sicuramente nel santuario Darb-e Imam, in Iran, gli artisti composero una struttura molto simile alla tassellatura di Penrose. Insomma, i matematici avevano dimostrato già a partire dagli Anni Settanta l’esistenza di una struttura ordinata, con simmetria di ordine 5 e senza traslazione. Chi capì che il modello di Penrose era proprio la spiegazione di ciò che aveva trovato Shechtman fu Steinhardt che, infatti, nel 1984 battezzò i nuovi cristalli con il nome di quasiperiodic crystals, abbreviato in quasicrystals.

Non un cristallo, ma quasi

A sinistra la tassellatura di Penrose, a destra il mosaico di Darb-e Imam. Entrambi non periodici, entrambi basati su pochi tipi di tasselli. Ma uno viene circa 500 anni prima dell'altro. (Cortesia: Inductiveload)

Per il paradigma fondamentale della cristallografia la sorte era segnata. Ma, si sa, i paradigmi sono duri a morire, e anzi spesso muore prima chi ha cercato di abbatterli. A Shechtman andò bene, perché dopo tre anni si riuscì a far crescere (si dice proprio così) un cristallo stabile abbastanza grande per analizzarlo con la diffrazione a raggi X. “Quello fu il punto di svolta”, ricorda Shechtman. Nel 1992 la International Union of Crystallography modificò la definizione di cristallo da “sostanza in cui i costituenti (atomi, molecole, ioni) sono disposti secondo una struttura ordinata su lunghe distanze che si ripete nelle tre dimensioni” a “qualsiasi solido che dia una figura di diffrazione discreta”. Sarebbe a dire: piuttosto che farci fregare ancora dalla scoperta di un nuovo tipo di cristallo, è meglio spiegare come si deve comportare e non come dev’essere fatto.

Non un cristallo, ma quasi

Qui la simmetria rotazionale è decisamente di ordine 5. Ecco un quasicristallo ben cresciuto. (Cortesia: Stanford University)

Dagli Anni Ottanta sono state sintetizzate centinaia di quasicristalli e ora si stanno cercando le possibili applicazioni industriali che pare andranno dalla produzione di padelle antiaderenti agli isolanti termici per motori. Nel 2011 a Shechtman è stato conferito il Premio Nobel per la chimica. Per la scoperta dei quasicristalli ma anche per come ha difeso la sua scoperta di fronte alle verità stabilite e agli attacchi della comunità. Ma la storia non finisce qui, perché nel 2008 è stato trovato anche il primo esemplare naturale: era contenuto in una roccia di qualche millimetro di dimensione conservata al Museo di Storia Naturale di Firenze.

Da tempo Steinhardt era a caccia di esemplari naturali. Aveva passato in rassegna a lungo i database delle diffrazioni a raggi X effettuate da vari centri di ricerca, nella speranza di trovare qualche dato anomalo. Eppure, mentre i laboratori di tutto il mondo creavano centinaia di campioni artificiali, di quasicristalli naturali non si aveva traccia. La sensazione era che in natura non fossero stabili.

Ma ecco che nel 2008 Steinhardt viene contattato da Luca Bindi, ricercatore in mineralogia presso l’Università e il Museo di Storia Naturale di Firenze. C’è una grande notizia: in un frammento di roccia grande pochi millimetri si trova un cristallo particolare. Sembra un quasicristallo. I due iniziano a collaborare, e le loro analisi dimostrano che si trovano effettivamente davanti a un quasicristallo di una lega metallica di alluminio, rame e ferro. Nel 2009 divulgano la scoperta alla comunità con un articolo su “Science”.

Sulla storia di quella roccia non si sa un granché, a parte la scritta “Kathyrka-Koryak-Russia” riportata sull’etichetta con cui il frammento era stato catalogato. Così gli scienziati si trasformano in investigatori e iniziano a indagare su come fosse arrivato a Firenze e da dove venisse precisamente: chissà, magari nel luogo di origine c’erano altri quasicristalli che aspettavano di essere recuperati. Il lotto di campioni di cui faceva parte era stato acquistato dal museo negli Anni Novanta da un collezionista olandese, poi scomparso. Perciò i due ricercatori contattano la moglie per poter accedere agli appunti riservati, scoprendo che la roccia era stata importata in Europa di contrabbando dall’Unione Sovietica. Dopo altre ricerche, riescono a raggiungere l’uomo che nel 1979 aveva portato alla luce quel campione tra le montagne del Koryak, nella Kamchatka. Così la Kamchatka, regione nord-orientale della Russia, a molti nota soprattutto per essere il territorio più ambito nelle partite di RisiKo!, nel 2011 diventa la meta del trekking estivo dei due scienziati e di altri colleghi.

I ricercatori non hanno ancora presentato un resoconto degli esiti della loro escursione, ma pochi giorni fa è stato pubblicato un articolo su “PNAS”, la rivista della United States National Academy of Sciences, con i risultati di ulteriori analisi condotte sul campione di roccia. Il quasicristallo, riconosciuto ufficialmente come minerale nel 2010, è stato battezzato icosaedrite. Nel campione di roccia non si trova solo: attorno sono stipati granuli di altri composti metallici e del silicio. Questa è stata una fortuna per Bindi e i suoi colleghi, alla ricerca di una spiegazione per la formazione dell’esotico cristallo. In particolare ha attirato la loro attenzione un polimorfo del silicio, la stishovite, che si forma solo ad altissime pressioni (superiori ai 10 GigaPascal). Ovviamente ciò significa che il frammento di roccia ha sperimentato quelle pressioni, e una situazione del genere non si verifica in molti modi. Il sospetto era di essere di fronte a un meteorite, sottoposto durante la propria vita a forti impatti e perciò a elevate pressioni.

Non un cristallo, ma quasi

Sembra grande, ma sono solo pochi millimetri. E lì in mezzo c'è anche il quasicristallo di icosaedrite. (Cortesia: P. Steinhardt)

Per togliersi il dubbio, gli scienziati hanno proceduto con l’analisi degli isotopi dell’ossigeno. Ciò consiste nel calcolare i rapporti fra ossigeno-16, ossigeno-17 e ossigeno-18 presenti nel campione e confrontarli con quelli di altri esemplari di cui si conosce l’origine. Così non solo si è avuta la conferma dell’ipotesi del meteorite, ma gli isotopi hanno anche indicato una grande somiglianza con le condriti, meteoriti trovate in numerosi esemplari sulla Terra ma databili a 4,5 miliardi di anni fa, il momento di formazione del Sistema Solare. Però ci sono pure delle differenze. “Fino a oggi le leghe di alluminio metallico non erano mai state osservate in meteoriti. Ne consegue che il campione fiorentino potrebbe rappresentare un nuovo tipo di corpo extraterrestre”, afferma Bindi.

Per il momento si può concludere solo che i quasicristalli si formano naturalmente in condizioni astrofisiche e rimangono stabili su tempi cosmici. Il processo che porta alla loro formazione in natura è ancora sconosciuto. Insomma non si è ancora conclusa una ricerca lunga anni. “Ho imparato moltissime cose sulle scienze dei materiali, sulla Terra e addirittura sulla storia della Russia. E’ un argomento irresistibile che mi ha regalato molte esperienze affascinanti sulla scienza e non”, ricorda Steinhardt, augurandosi che i geologi continuino a cercare minerali con figure di diffrazione particolari. “Io certo non smetterò di cercare altri quasicristalli naturali”, conclude.

Shechtman, D., Blech, I., Gratias, D., & Cahn, J. (1984). Metallic Phase with Long-Range Orientational Order and No Translational Symmetry Physical Review Letters, 53 (20), 1951-1953 DOI: 10.1103/PhysRevLett.53.1951

Lu, P., & Steinhardt, P. (2007). Decagonal and Quasi-Crystalline Tilings in Medieval Islamic Architecture Science, 315 (5815), 1106-1110 DOI: 10.1126/science.1135491

Bindi, L., Steinhardt, P., Yao, N., & Lu, P. (2009). Natural Quasicrystals Science, 324 (5932), 1306-1309 DOI: 10.1126/science.1170827

Bindi, L., Eiler, J., Guan, Y., Hollister, L., MacPherson, G., Steinhardt, P., & Yao, N. (2012). Evidence for the extraterrestrial origin of a natural quasicrystal Proceedings of the National Academy of Sciences DOI: 10.1073/pnas.1111115109


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