Il romanzo delle stragi.
Questa è una storia che non si può dimostrare, eppure so che è vera.
Come aveva scritto Pasolini sul corriere, Io so, io so i nomi... ma non ho le prove.
E Pinotti e Fogli, per raccontare la storia che sta dietro le stragi del 1992-93, la strage di via D'Amelio, la trattativa stato-mafia, i rapporti mafia-affari e politica, la fine della prima repubblica e la nascita della Seconda, l'arrivo dell'uomo nuovo, hanno usato l'espediente del romanzo: mettere assieme i fatti, le rivelazioni dei pentiti, alcune sentenze su questi fatti criminosi, le prime evidenze emerse dalle nuove indagini (ripartite dopo le rivelazioni su Spatuzza).
Il romanzo, per dire quello che la verità giudiziaria non può ancora dire (e che forse, potrebbe non volerlo dire mai).
« L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso.»(Paolo Borsellino, Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa 26/01/1989)
Un romanzo corale, nello stile di quel genio di nome Patrick Fogli, accompagnato dal rigore investigativo di Pinotti, già autore di libri sulla lobby di Dio e sulla banca Rasini (che Sindona indicò come la banca della mafia a Milano), in cui lavorò il padre dell'attuale presidente del Consiglio.
Sarà facile individuare, dietro i nomi di alcuni personaggi, persone realmente esistite: Di Donna, Longo (Calvi e Sindona), Prestileo, Curatolo e Pellegrino (Ciancimino, Scarantino e La Barbera). Ma è bene non farsi prendere la mano, da nomi e persone. Quello che conta è il contesto e le rivelazioni che escono: nemmeno il protagonista, l'io narrante , ha un nome.
E' lui, ex giornalista, figlio di un famoso giornalista che ha smesso di scrivere (Adriano), che lavorava con la moglie (Elena), che riceve la telefonata di un avvocato. Cosa vuole, questa persona? Perchè insiste per parlare con lui?
«Tutto è cominciato con una telefonata. E ancora oggi non so chi fosse, la persona che me l’ha fatta.»
Michela, il nome di quest'ultima, viene uccisa da un mafioso (per vendetta?): le ultime parole che pronuncia sono Ignazio Solara.
Parte tutto da qui: sulla scoperta di chi sia questo Ignazio Solara. Nome che compare anche nelle carte della moglie (morta in un incidente d'auto, quantomeno anomalo), per una sua inchiesta, fatta col padre, sui tragici eventi di una estate di tanti anni prima. 17 luglio del 1992.
«Questa storia riguarda due uomini e na donna. Uno dei due uomini si chiama Adriano ed è mio padre. La donna si chiama Elena ed è mia moglie. De secondo uomo non so il nome, l'unia ipotesi che posso fare è su quale tipo di lavoro esercitasse il giorno del 1992 in cui mio padre è seduto davanti in un bar, dalle parti del tribunale.Il protagonista, e il lettore con lui, seguirà il filo di una indagine personale, in cui verrà affiancato da un magistrato (Daniele) che già si era occupato delle indagini e da un poliziotto che ha tanto l'aria di essere uno dei servizi che la sa lunga (Andrea). Si parte da un potente gruppo industriale di Ravenna che risultava insieme implicato nel giro delle tangenti e socio in affari di imprese mafiose.
L'uomo di cui non conosco il nome ha la stessa età di mio padre, sta perdendo i capelli e parla tra due lunghe boccate di sigaretta.»
Per arrivare poi a Castel Utveggio e i servizi sul luogo della strage di via D'Amelio; la morte di Falcone e Borsellino e i misteri del fallito attentato all'Addaura. I cambiamenti nell'Italia dopo la caduta del muro di Berlino:la fine dei vecchi equilibri e il declino della classe politica per Tangentopoli, la mafia che cercava nuovi interlocutori in politica dopo la DC....
In un isola in un paradiso offshore, l'incontro con il figlio di un banchiere che aveva riciclato i soldi della mafia e un ambiguo personaggio legato a mafia e servizi, Patrizio Benetti (Bellini?). La falsa pista che ha portato alla condanna di Curatolo per via D'Amelio. Le rivelazioni di un pentito, Antonio Baldacci, sui rapporti tra stato e mafia (“l'abbiamo fatto perchè ce l'hanno chiesto”).
Parole che non avrebbe mai voluto ascoltare: “ ascoltare un uomo di cosa nostra per scoprire che queli fedeli allo Stato giocano in realtà la stessa partita, a volte con regole peggiori”.
Il giornalista dovrà scegliere, se abbandonare la pista, come altri prima di lui (per interesse, per paura, per rassegnazione), o continuare. Fino alla scoperta dei tanti perchè. Per Elena e Adriano, per i tanti morti, per un paese migliore da dare ai figli: “perché nel paese delle storie dimenticate, quello che ho da dire non ha mai avuto diritto di cittadinanza.”
Questa è una storia che non si può dimostrare …la storia di un golpe. La storia di un paese sulla cui classe politica gravano gravi sospetti, ombre pesanti.
L'incontro tra l'io narrante, la voce della storia, e un agente dei servizi, alla resa dei conti finale. A Palermo.
- Si è mai chiesto cosa sia un colpo di stato?
Formula la domanda come se stessimo prendendo un caffè al bancone di un bar. Impiego qualche secondo a rispondere. Vorrei essere molto lontano da qui. Vorrei non sentire più nessuna domanda, non dover dare risposte. [..]
- Il tentativo di impadronirsi del potere con la forza – dico.
L'espressione di Clara la dice lunga su quello che pensa della mia risposta.
- Brutale ma corretto. Potrei aggiunere che un golpe implica la fine delle garanzie democratiche a tempo indeterminato. Fa una pausa – Ma qui stiamo parlando solo di democrazia.
La guardo senza capire. Lei abbandona la serietà per un sorriso appena accennato.
- Un potere che si sgretola dalle fondamenta – continua – che perde contatto con la realtà, indebolito ogni giorno dalla corruzione, dalle inchieste , dagli arresti. E un meccanismo criminale, organico a quello stesso potere. Il rapporto è quello di un parassita con un cellula sana. Solo che spesso è difficile distinguere chi stia parassitando chi.
- Parlava di colpi di stato.
- Cambi di potere, se l'espressione le pare troppo forte. Infila le mani in tasca. - Il parassita ha bisogno dell'organismo. E l'organismo non può ottenere quello che vuole, senza il parassita. Se lo Stato e cosa nostra concordano la reciproca convivenza, non le semra un colpo di Stato? Se nella reciproca sopravvivenza è pprevisto che le teste dei due organismi cadano, che si elimino i rami secchi, gli oppositori, chi sa troppo e chi potrebbe parlare o chi è stato usato a sufficienza, non le pare un colpo di stato?
- Due.
Mi fissa negli occhi. Deglutisce un pensiero troppo pesante da rivelare.
- Già. Due. Uno per togliere Totò Riina dal vertice di cosa nostra. E uno per rianimare il potere politico che era morto.
- Molto diverso dal classico golpe.
Clara annuisce.
- Ma è esattamente quello che è accaduto. Prima bastava condizionare. Da Piazza Fonana in giù. C'era un motivo. I due blocchi, la posizione strategica dell'Italia, i comunisti. Nel '92 tutto è finito. La paura rossa non c'è più. Gladio è stata rivelata.
- E nascosta.
- Ma certo nascosta. La riconversione è fondamentale, in ogni settore. Funziona nell'industria, nel commercio, nel mio ambiente.
- Il suo ambiente .. [..]
- Quando mettono la bomba sulla macchina c'era qualcuno dei nostri.
La frase è un dolore lontano che non andrebbe confessato.
- Quale bomba?
- Già, quale .. Sto parlando del dottor Borsellino.
- E chi ernao i vostri?
- Cosa importano le sigle? O i nomi? Potrei dirlo, ma cosa cambierebbe? Le persone vanno e vengono, gli accordi non dipendono da loro. Solo dalla convenienza.
- Voi lo spaevate e non avete fatto niente.
Clara distoglie lo sguardo. Incrocia le braccia al petto. La scia di un aereo taglia a metà la nostra porzione di cielo.
- Si sbaglia e ha ragione, allo stesso tempo.
Mi volto di scatto. L'insofferenza raggiunge all'improvviso il mitite di guardia. Si irrigidisce, i muscoli delle braccia tesi sotto il maglione.
La domanda la colpisce al volto come uno schiaffo.
- Chi cazzo siete?
Clara regge lo sguardo, allenta la tensione, cerca di far defluire la rabbia.
- Proviamo a fare un ragionamento. C'è un alto ufficiale del servizio segreto che riceve in tempo reale la notizia della norte di Paolo Borsellino. C'è un ufficio dei servizi segreti sul Castello Utveggio, perfetto pe tenere d'occhio il luogo della bomba. C'è un ufficiale dei servizi nel luogo duogo in cui l'esplosivo viene confezionato. C'è un colonnello che contatta – a scopo investigativo, dice – l'uomo che sta al centro dei legami tra politica, affari e cosa nostra, don Antonio Prestileo. Basterebbe, ma non finisce qui. Vincenzo Pellegrino, il capo dle gruppo che indaga sulle stragi di Capaci e via D'Amelio, risulta a libro paga del servizio. Fonte Talete, per essere precisi. E guarda caso è lui che cattura Curatolo, lo protegge da pentito e gli crede. Curatolo dice che lo hanno minacciato, imbeccato, picchiato. Pellegrino invece è morto da qualche mese e non potrà dire niente. Qualche giorno fa è morto anche Antonio Prestileo. Il giorno prima un ufficiale del Sisde è finito contro un muro. Attacco di cuore, dicono. Lo dice anche l'autopsia. Mi chiedo a chi abbia lasciato quell'anello di zaffiro che portava sempre. Lo avrei preso volentieri in custodia.
Fa un lungo respiro.
- Pellegrino – continua – dipendeva direttamente dal ministro dell'Interno. E guarda caso qualcuno dice che è proprio il ministro dell'Interno che copre le spalle alla tratativa. E dopo un incontro con il ministro, Borsellino torna indietro fuori di testa e il ministro di allora non ricorda di averlo incontrato. Sempre Pellegrino, alla fine del 1992, viene richiamato a Roma dallo stesso ministro, con revoca dell'incarico a Palermo. Torna, a furor di popolo, in tempo per gestire Curatolo.
Fa una pausa. Infila un mano in tasca. Si accende una sigaretta. Mi porge il pacchetto. Ne prendo una. Fumo con lentezza, mentre Clara ricomincia a parlare.
- Qui il problema non sono i servizi deviati. I servizi deviati non esistono. Parliamo di alti ufficiali dei servizi, della polizia, di agenti semplici, di politici e ministri. Parliamo di contatti noti, quasi alla luce del sole. Di presenze delle forze dell'ordine nell'organizzazione di una o forse più di una strage. Di una tradizione di depistaggio che parte da Piazza Fontana e arriva fino a qui, a Palermo. Non c'è deviazione, capisce? La linea è chiara, limpida. Un ordine di servizio.
- Vale anche per lei, allora.
- Diciamo che non tutti, all'interno del mio ambiente, erano d'accordo con quello che stava per accadere. Non tutti pensavano che la morte di Paolo Borsellino fosse un buon affare. O che non ci fossero altre strade, oltre a quella che si stava delineando.
- Cosa sapevate di Cercàsi? [Il presidente del Consiglio nel romanzo]
Spegne la sigaretta.
- Quella è stata una scoperta di sua moglie. Non mi chieda come l'ha scoperto, non lo so. Però è grazie a lei che lo abbiamo capito. A quel punto è diventato tutto molto chiaro. È questa la cosa che non puoi sopportare, se fai il mio lavoro. Tutti quanti hanno capito come è andata. Tutti. Ma non succede niente. Fingersi di bersi la bugia quotidiana è molto più difficile che dimostrare la verità.
- Specie quando non ci sono le prove.
Clara annuisce.
- Appunto. E mi creda, nessuno dimostrerà mai questa storia. Se abiti una casa non distruggi le fondamenta con le tue mani. Per questo abbiamo tentato con Adriano [il padre giornalista dell'io narrante]. E quando stato chiaro che non lo avrebbe fatto, con Elena [la moglie]. E adesso con lei. L'unica possibilità perchè il muro crolli è che la storia si sappia. Che giri, che cammini con le sue gambe.
- Non mi è mai piaciuto il silenzio.
Non voglio il silenzio - Pagina 521 - 524
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