Secondo la Bossi- Fedrigotti, scrittrice che ho già citato a proposito dei nonni, non andrebbe usato il termine femminicidio perché rimanda all’idea sprezzante della latina “femina”, l’animale di sesso femminile. La giornalista Barbara Spinelli risponde che inventarlo fu una scelta politica degli anni ’90: la categoria criminologica del femmicidio introduceva un’ottica di genere nello studio di crimini “neutri” e consentiva di rendere visibile il fenomeno. Collega l’uccisione al genere, e non si adatta solo alle donne vittime del proprio uomo… Continuate a leggere qui, è interessante http://27esimaora.corriere.it/articolo/perche-si-chiama-femminicidio-2/
Qualunque sia la definizione, si allunga l’elenco delle donne uccise. E anche sfigurate, picchiate, molestate. La presidente Boldrini ne ha parlato a Napoli e scritto sui giornali; alcune ministre sono intervenute caldeggiando interventi forti e rapidi, dalla creazione di una task force al rifinanziamento dei centri antiviolenza (ridotti al lumicino dai tagli di spesa).
Le radici della violenza contro le donne sono remote e complesse, ma cominciare a mettere da parte qualche luogo comune è comunque un primo passo. Ha ragione la Boldrini nel dire che, nel riferire questi fatti, le cronache dovrebbero evitare due concetti: emergenza e raptus.
Il problema assume le caratteristiche dell’emergenza perché i media lo amplificano, ma questi comportamenti sono tutt’altro che nuovi: le donne li subiscono da tempi così lontani da non poter essere documentati.
Il sostantivo raptus, tanto caro al giornalismo, suona fuorviante e quasi giustificatorio. Di improvviso e imprevisto nell’aggressione alla moglie o compagna non c’è proprio nulla poiché il comportamento dell’uomo era pericoloso da tempo. Com’è errata e “fumettistica” l’attribuzione del raptus all’amore, eventualmente malato, alla gelosia, alla crisi per l’abbandono.
Gli uomini violenti (una minoranza, sia chiaro) non amano la donna: la considerano un oggetto di proprietà. Le motivazioni hanno a che fare con l’educazione, la cultura, il lavoro… L’intera mappa del rapporto tra i sessi andrebbe ridisegnata. Discorso troppo lungo per affrontarlo qui; un giro nel web risulta comunque istruttivo.
Un certo tipo di “cultura”, specie televisiva, ha senz’altro concorso a riportare indietro la dignità della donna. “Se vieni rappresentata esclusivamente come corpo-oggetto, il messaggio che passa è chiarissimo: di un oggetto si può fare ciò che si vuole” ha detto giustamente la Boldrini.
Quale il ruolo di noi nonne? Ne ho parlato qui, più in dettaglio http://virginialess.wordpress.com/2012/03/27/donne-a-rischio/ Ripeto cosa fare quando veniamo a conoscenza di situazioni a rischio nelle famiglie dei nostri figli. Si tratta di uno dei pochi casi in cui la discrezione che sempre raccomando dev’essere messa da parte! Poco importa se siamo mamme di lei o di lui: occorre cercare senza indugio un intervento competente, anche se la donna maltrattata si oppone e minimizza.
Giustificare il partner violento fa parte di una sindrome tipica e molte si convincono addirittura di essere causa, con il proprio comportamento, delle prevaricazioni che subiscono. E se l’aggressore è il nostro figliolo? Non colpevolizziamoci, la tesi che dipenda da noi, perché non abbiamo saputo educarlo, è un altro luogo comune. In ogni caso, accantoniamo per il momento il nostro io: ha bisogno di aiuto prima che finisca in tragedia.
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