Magazine Diario personale

Nostalgia imperante

Da Giupy
"Siete tanti, ma non vi preoccupate, meta' di voi lasceranno dopo il primo esame, solo pochi arriveranno alla laurea, e due o tre troveranno un lavoro che abbia a che fare con quello che state studiando"

Grazie ad un amico con cui ne ho passate tante, mi sono ricordata che 10 anni fa (esattamente il 22 di settembre) iniziavo l'universita' - perche' si, ho qualche anno in piu' dei 18 che dichiaro. La frase di apertura del post e' stato il modo incoraggiante ed amichevoli di accoglierci tra i banchi universitari di una professoressa.
Nostalgia imperanteLa foto sembra poco appropriata, ma vi giuro che un significato c'e' e io lo so bene
Nonostante le premesse, i 5 anni di universita' sono stati i piu' belli della mia vita. Certo, l'universita' in se' non mi ha dato nulla a livello lavorativo e sarebbe probabilmente stato piu' utile passare la mia specialistica a mangiare noccioline e ascoltare Carla Bruni, a giudicare dal niente che ho imparato. Ma sono comunque stati anni importanti. Dove ho conosciuto persone speciali, bevuto un sacco di spritz, ascoltato un sacco di canzoni di cantanti giapponesi, riso un sacco, guardato un sacco di TV trash e drama asiatici. Dove Venezia e' diventata la mia seconda patria e i miei amici sono diventati la mia seconda famiglia, ed e' dagli anni dell'universita' che quando guardo questa pubblicita' piango: 
Maledetta Barilla, quante lacrime mi fai versare
Ma non voglio che questo post diventi TROPPO nostalgico e sentimentale perche' bisogna sempre sdrammatizzare, o altrimenti la vita di un'expat sulla soglia dei trentanni potrebbe condirsi di Xanax.Il fatto che siano passati dieci anni (e io non sia cambiata di una virgola ne' fuori ne' dentro) mi ha fatto fare un paio di riflessioni.
La prima e' che durante la mia prima settimana mi sono platonicamente innamorata di tutti i miei professori e vedendo i dottorandi, gli assistenti, mi sembrava di avere a che fare con una specie lontanissima da me di uomini e donne baciati dal privilegio dell'intelligenza e dalla fortuna di poter passare tutto il loro tempo con persone ancora piu' intelligenti. "Io da grande faro' la dottoranda!" disse Giupy abbandonando definitivamente il sogno di diventare la nuova Licia Colo'. E ora che sono grande, faccio appunto la dottoranda. Un lavoro per cui non ho ottenuto ne' soldi ne' prestigio sociale, ma che mi da' l'illusione di avere il privilegio dell'intelligenza e la fortuna di stare a contatto con persone ancora piu' intelligenti. Sono cose che e' utile ripetersi quando a mezzanotte stai ancora inserendo i voti dei tuoi studenti nel sito e nel tuo frigo c'e' solo un barattolo mezzo vuoto di burro di arachidi e due mele un po' andate. 
Nostalgia imperante
La seconda e' che la mia esperienza e' molto diversa da quella degli studenti qui. Oltre al fatto che loro sono tutti biondi e belli e girano in infradito, e io avevo un imbarazzante tinta di capelli e una giacca di jeans, ci sono delle sostanziali differenze. Come il discorso iniziale fatto dalla mia professoressa, che qui in USA sarebbe IMPENSABILE. Qui il rettore raduna gli studenti del primo anno e gli urla "Voi siete i migliori! Voi siete il futuro !" con un vigore che neanche la mia insegnante di zumba sotto acidi. Parlavo di questa cosa con il mio boss (ovvero il mio advisor, ovvero una di quelle persone intelligenti che, come dottoranda, ho il piacere di avere vicino). Lui e' Marocchino e mi diceva che la cultura mediterranea e' molto diversa da quella anglosassone, noi siamo cresciuti con i genitori e gli insegnanti che ci dicevano "non fare questo! Non fare quell!". Quando avevamo risultati eccellenti voleva dire che avevamo fatto il nostro lavoro, altrimenti eravamo stupidi, pigri e incompetenti. Qui fin da piccoli i bambini vengono incoraggiati, lodati per la loro creativita', per quello che fanno. Non importa se non sanno dov'e' l'Iraq e non sanno pronunciare correttamente Iraq, sono comunque i migliori, il futuro, bisogna investire in loro.
In conclusione, penso che gli studenti qui siano sfacciatamente fortunati (ok, forse non tutti. Quelli che si riempiono di debiti e si ammazzano di lavoro per pagare le rette universitarie no, ma la maggioranza che hanno tutto pagato da mamma e papa', si). Non sono piu' fortunati di me perche' hanno una piscina a forma di bufalo, dei dormitori che sembrano degli alberghi, una mensa che fa la pizza meglio che la mia mamma, dei TA (cioe' io) che li seguono in ogni minimo problema, dei club ricreativi che gli organizzano la vita sociale. Io non avevo una palestra ma mi sono fatta i muscoli delle gambe sui ponti di Venezia, dividevo una quadrupla in una casa con gli scorpioni ma era una casa bellissima e piena di gioia (ribattezzata Casa dell'Amore), i dottorandi e professori mi ignoravano ma io li veneravo lo stesso. Nonostante tutto cio', non cambierei la mia esperienza con quella di nessuno studente del college americano. Un po' perche' io bevevo alcol legalmente sotto i 21 anni, e un po' perche' la gente che ho incontrato era gente speciale, quello che facevo mi entusiasmava e stavo nel posto piu' bello del mondo. Non e' da tutti studiare in una cartolina.
Gli studenti statunitensi sono piu' fortunati di me perche' hanno qualcuno che crede in loro. Io ero ad un passo dal rassegnarmi a fare la segretaria sottopagata poliglotta con due 110 e lode in tasca perche' nessuno mi aveva mai fatto credere che potessi aspirare a fare piu' di cosi'. E quando ho voluto provare con il dottorato, la professoressa che ci ha fatto il famoso discorso iniziale si e' rifiutata di farmi la lettera di referenze. Io passo la vita a sentirmi constantemente inadeguata, a sentire di dovermi giustificare, di non essere all'altezza delle persone che mi circondano. Quando mi dicono che ho fatto qualcosa bene ho sempre il retropensiero che stiano mentendo. Invece vedo colleghi e amici americani che sono a loro agio nel pavoneggiarsi per le cose che sanno fare, nel ripetere quanto sono bravi, intelligenti. Come si dice qui, si sanno vendere bene. Un'amica mi diceva di essere volontaria in un programma Rotary che insegna agli adolescenti a diventare leader del futuro. E chi mai mi ha fatto pensare che sarei diventata una leader di qualcosa? Da adolescente avevo la percezione di essere una nullita', avevo la massima aspirazione di diventare assistente di volo e sapevo che di Steve Jobs noi non ne avremo mai, quelli nascono solo in USA. Se un adolescente va in giro a dire che sara' un leader, 9 su 10 il primo bullo che passa gli infila la testa nel gabinetto. 
Nostalgia imperante
E invece e' bello avere qualcuno che crede in te. Che ti dice di andare avanti, di provarci, che ce la farai. Poi magari non ce la fai lo stesso, ma almeno non devi sempre essere tu a ripetere a te stessa che nonostante il resto del mondo sei in grado di farcela, che hai un cervello e delle lunghe gambe (story of my life). Forse se il mio primo giorno di universita' mi avessero detto che "voi siete i migliori! Voi siete il futuro", mi sarei risparmiata una vagonata di insicurezze, paranoie, tentativi non fatti. 
Ma oltre a questo, non cambierei una virgola della mia esperienza universitaria. Tranne, forse, l'orrenda tinta di capelli e il giubbino di jeans.
Piccolo omaggio a Venezia, dove un giorno tornero' a vivere. 

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