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Note missionarie da Bunju (Tanzania) / La Chiesa col grembiule....

Creato il 29 settembre 2011 da Marianna06

CENTRARE LA VITA

 

Cari amici,

eccomi a BUNJU. Bunju è la mia nuova destinazione.

Ebbene, sì: ho lasciato Makambako, dopo avervi trascorso otto mesi. Mesi impegnativi, ma belli.

A contatto con la gente della strada e del mercato: bambini e anziani, sani ed ammalati, qualche ricco e un esercito di indigenti. Fra i ragazzi e le ragazze del liceo, dalle divise scolastiche talora sbrindellate, dove ho insegnato Bibbia. E, soprattutto, ascoltando la gente dei villaggi,

che si lamenta della pioggia, sempre scarsa, dei giovani d’oggi, sempre più difficili,

e della vita in genere, molto molto povera.

“Povero” sono stato anch’io: invece di parlare, balbettavo in kiswahili. Oggi, dopo otto mesi,

non è che sia Demostene o Cicerone!

 

Il 23 settembre 2011, alle sei del mattino, salgo in macchina e… “Kwaheri, Makambako!”.

Peter, l’autista, rompe il silenzio imbarazzante: “Baba Francesco, vedi? Sta piovendo!

È una benedizione!”.

Già, piove. Dopo quattro mesi di siccità, che si prolungherà per altri tre. Ma oggi piove.

È una pioggia rachitica. Però è acqua, vita. Quella pioggerellina mi rinfranca un po’…

Una sosta a Pawaga, per salutare l’intramontabile compaesano, padre Egidio Crema,

da 60 anni sulla breccia in Tanzania. Poi Bunju, a circa 700 chilometri da Makambako

e a 35 da Dar Es Salaam.

A Bunju i missionari della Consolata hanno creato il Consolata Mission Centre.

È un Centro significativo in Tanzania: moderno, elegante, funzionale, aperto al futuro.

Da tre anni vi si tengono incontri di formazione a tutto tondo, ritiri ed esercizi spirituali, aggiornamenti di catechesi.

Mentre scrivo, 35 seminaristi stanno facendo gli esercizi spirituali, predicati da una suora.

Sono previsti pure incontri ecumenici, dialoghi interreligiosi e dibattiti sociali.

Il Centro è frequentato, quasi ogni giorno e per più giorni, da laici impegnati, gruppi parrocchiali, catechisti, seminaristi, preti. Non sono mancati i vescovi del Tanzania.

Si stampa pure la rivista missionaria Enendeni (Andate): modesta nella veste tipografica,

ma coraggiosa nei contenuti..

I missionari della Consolata del Centro sono tre: padre Giuseppe Inverardi (ex superiore generale dell’Istituto), padre Pascal Mukokha (del Kenya) ed io. Operiamo “dentro” e “fuori” del Centro:

­- dentro, accogliendo i gruppi (che possono raggiungere il centinaio) e venendo incontro alle loro esigenze;

­­- fuori, nelle parrocchie, nei movimenti religiosi, nelle associazioni giovanili, a tu per tu con le singole persone.

Operiamo in collaborazione con le missionarie della Consolata.

È un impegno organizzativo ed economico non indifferente, data la presenza di 18 lavoratori fissi, retribuiti. E qui risuonano subito le dolenti note sociali del Tanzania.

Quanti lavoratori, a metà mese, chiedono un anticipo dello stipendio, perché sono già alla fame!

E quanti richiedono un prestito, perché non ce la faranno fino al prossimo mese.

I missionari della Consolata hanno scelto l’impegno nel Centro, perché credono nell’elevazione dell’ambiente a 360 gradi, con la magna carta del Vangelo.

Così dettava il loro fondatore, il beato Giuseppe Allamano.

Tuttavia carmina non dant panem: scriveva Virgilio. Ossia: la poesia, lo studio, la formazione

e la ricerca culturale (né, tanto meno, quella evangelica) non fanno quattrini.

E i quattrini ci vogliono! Almeno un po’!

Il Centro sarebbe in bancarotta già da tempo, se non ci fosse il sostegno solidale di alcuni amici italiani, amanti della missione.

 

Recita un proverbio swahili: elimu ni mali (la conoscenza è un capitale).

Guerre e aids sono emergenze crudeli. La formazione è prevenzione e cura di ogni miseria.

I missionari della Consolata ne sono convinti. Ecco perché hanno inventato il Centro

per evangelizzare, partendo dalla cultura locale e con il fine della “consolazione”.

Un centro per “centrare” la vita! Mungu akipenda (se Dio vuole).

 

Cari amici, sto scrivendo queste poche righe per comunicarvi il mio nuovo lavoro.

La mia vita, dunque, ha subìto un’ennesima piccola scossa, dopo quella grossa di essere partito

per il Tanzania con 68 autunni in groppa.

Come a Pietro (di professione “pescatore di uomini”), anche a me il Maestro dice:

“Prendi il largo e cala le reti per la pesca, nonostante i tuoi acciacchi” (cfr. Luca 5, 4).

Non so che cosa pescherò e se pescherò, con questi chiari di luna in ogni angolo del pianeta.

Però ci provo.

 

p. Francesco Bernardi

 

Consolata Mission Centre

P. O, Box 68140 - Boko

Dar Es Salaam

 

  

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