L’agente Ferrante non credeva alle sue orecchie. La frazione, l’indirizzo e il civico, gli stessi. Lo stesso luogo che dieci anni prima era stato il teatro degli orrori che aveva sconvolto il paese. L’talia era rimasta incredula davanti alla violenza prima, all’orrore dopo, quando la mano che aveva interrotto con quarantotto coltellate la vita di una giovane donna e del suo bambino si era rivelata essere quella dell’altra figlia, allora soltanto sedicenne.
Anche in quell’occasione, era toccato a lui raccogliere la chiamata. Un tentativo di rapina ad opera di extracomunitari, rumeni, chi se ne sarebbe stupito? Non sarebbe stato certo il primo episodio, la gente è esasperata da un clima di paura e violenza che ha bruscamente interrotto una vita all’insegna della civiltà e della pace. Questa era gente che lasciava la porta di casa aperta per capirci, con le chiavi appese nella serratura, senza spranghe alle finestre, senza allarmi tecnologici. E lei questo lo sapeva bene quando ha raccontato in lacrime la sua storia ai vicini prima e alla polizia dopo. Ferrante se la ricorda, un viso pulito, ingenuo, la classica ragazza della famiglia bene del nord, con le mani pulite.
Ma era stato proprio il sangue che macchiava quelle manine curate a farla finire in carcere per dieci anni.
Se ne è parlato a lungo; in tanti si sono continuati a domandare come fosse stato possibile, come fosse potuta accadere una cosa tanto orrenda, assurda, inconcepibile, come se fossimo davvero ancora capaci di stupirci per questi orrori.
Si è parlato a lungo anche di lui, il padre.
Quell’uomo in un solo istante si è visto portare via moglie e figlioletto piccolo. E da chi? Dalla figlia maggiore.
L’agente Ferrante si è chiesto mille volte come si sarebbe sentito se fosse capitato a lui, lui che ama teneramente la moglie dopo tanti anni e che darebbe la vita per i suoi tre figli.
Cosa avrebbe provato se uno di loro avesse fatto qualcosa di simile? Come si sarebbe sentito? Cosa avrebbe fatto? Se lo sarebbe chiesto ancora mille volte l’agente Ferrante ma non sarebbe comunque arrivato mai a comprendere il comportamento di quel padre, il vero enigma di tutta quella triste storia.
Lui che è rimasto accanto a quella figlia in ogni circostanza alla quale fosse ammessa la sua presenza.
Lui che, durante il processo, non ha rilasciato una dichiarazione.
Lui per una volta alla settimana ha fatto visita alla figlia in carcere, rimanendole vicino e sostenendola negli studi.
E sempre lui, ha riverniciato le pareti di quella casa degli orrori, dove si sono fermati i sogni, le speranze, dove sono andati in fumo i sacrifici e i progetti di una coppia che ha visto nascere una famiglia. Nessuno avrebbe potuto mai immaginare che quella piantina a cui hai dato ogni giorno acqua e cure si sarebbe rivelata una pianta carnivora.
Quella famiglia era implosa in una sera di ribellione e sangue. Sconosciute le ragioni, inutile cercarle dove ragioni non esistono, la violenza si nutre a volte solo di se stessa.
Lui però è rimasto lì, fedele a quell’idea di casa, dove è nato tutto e dove si sono consumati anche tanti momenti felici.
E’ rimasto lì per dieci anni.
Ieri lei è uscita, fine pena, dieci anni dopo.
Una donna, bella, adulta, lunghi capelli scuri ma ancora quello sguardo pulito, come se fosse stato tutto lavato via.
Ad accoglierla, con la sua grande macchina da uomo benestante del nord, lui, papà.
La portava a casa ieri sera, dopo dieci anni, la riportava là, in quella casa che lui ha riverniciato e rimesso a posto, per accogliere quel che resta di una famiglia distrutta: il suo omicida.
E così ieri l’agente Ferrante, come un po’ tutti poi, è rimasto quasi attonito davanti alla tv che riproponeva quelle immagini di una famigliola che si ricomponeva, come quando, dopo una marachella, ti vengono a riprendere da qualche parte mamma e papà per riportarti a casa. Solo che mamma non c’è, e non c’è nemmeno il fratellino che ti considerava la sua migliore amica. C’è quella casa, integra, ancora in piedi, dove un padre che nessuno ha saputo interpretare per anni ti ha aspettata alternando giorno e notte per dieci anni senza che nessuno capisse cosa pensasse.
Fino a stamattina.
Questa chiamata annuncia qualcosa di brutto.
L’agente Ferrante vorrebbe ignorarla e tirar dritto, andare a presidiare la scuola per assicurarsi che i ragazzi entrino alle lezioni senza incidenti ma, ancora una volta, è lui a trovarsi più vicino.
Quando arriva davanti alla villetta il gruppetto dei vicini di casa ha impressa sul viso la stessa espressione che deve avere lui, un angoscia senza sorprese.
Forse nessuno avrebbe voluto pensarci prima, per quanto adesso appaia tutto così chiaro, logico, consequenziale.
La cameretta con le pareti rosa pastello, perfettamente ordinata, con i fiori freschi davanti alla finestra, e il corpo della ragazza riverso nel letto, in un bagno di sangue. Un colpo in testa.
Lui seduto alla scrivania del suo studio, come nei film di spionaggio, stessa sorte. Sulla scrivania, posizionato a debita distanza affinchè non venisse impregnato di sangue (ma in dieci anni hai avuto tempo di pensare a tutto) un biglietto: una famiglia resta unita.
La spiegazione di tanto mistero, il lento scorrere del tempo, un finale da grande regista, l’attrice principale, al massimo della naturalezza.
La parola fine.
La famiglia comprende.
La famiglia sostiene.
La famiglia protegge.
La famiglia giudica.
La famiglia perdona.
In quella notte di orrore e rivelazione, negli occhi limpidi della figlia, aveva riconosciuto se stesso e il male che annida e metastatizza, divenendo genetico.
Aveva protetto la sua creatura dalla società, per riportarla a casa prima che venisse smascherata e condannata per ciò che realmente è.
A casa, in famiglia. Papà ti ama, papà si prenderà cura di te.