Fonte: Valori - Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità
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Il 12 ed il 13 giugno i cittadini saranno chiamati a esprimersi sul rilancio del nucleare in Italia
L’incertezza sui tempi e i costi di costruzione delle centrali rende il nucleare una scommessa. E il settore assicurativo non assume i rischi di eventuali danni di una centrale in assenza di un tetto al risarcimento (l’Italia non l’ha ancora fissato), oltre il quale a pagare saranno i contribuenti.
Il prossimo referendum sul nucleare, nel quale i cittadini saranno chiamati a esprimersi sul ritorno di questa tecnologia nel nostro Paese, sarà anche un test della capacità del sistema politico e dei media di creare una discussione informata sulle scelte energetiche. Uno dei temi centrali è dato dai costi del nucleare. Da una parte, i sostenitori dell’atomo affermano che le nuove centrali permetterebbero di abbattere i costi dell’elettricità, attualmente penalizzati dal prezzo del petrolio. Dall’altra, gli oppositori ribattono che l’eolico e il solare possono garantire costi ancora inferiori, se non ora almeno nel medio termine, grazie al progressivo perfezionamento tecnico e al raggiungimento di economie di scala.
Un aspetto poco discusso, da entrambe le parti, è l’incertezza dei costi del nucleare. È noto che questi si concentrano nella fase di costruzione dell’impianto, responsabile per circa il 60% delle uscite economiche che la centrale genera in tutto l’arco della sua vita. Il 40% restante si divide fra costi di gestione, di combustibile (uranio), di manutenzione, di trattamento delle scorie e di dismissione finale.
I costi possono anche raddoppiare
È proprio nella costruzione che sorgono i fattori di incertezza. L’esperienza storica indica che i costi di questa fase variano enormemente, in funzione di condizioni sito-specifiche che sono difficili da prevedere prima dell’inizio dei lavori. Se per una tradizionale centrale elettrica a gas naturale i costi di costruzione possono variare fino a circa il 30%, per una centrale nucleare la variazione può superare il 100% (ossia, il valore massimo può essere più del doppio di quello minimo). Pertanto è impossibile quantificare un costo “chiavi in mano” di una centrale nucleare. L’incertezza dei costi di costruzione non trova considerazione adeguata nei vari studi internazionali sui costi del nucleare, che sono spesso citati frettolosamente da una parte o dall’altra come prova definitiva della convenienza (o della non convenienza) dell’atomo. Questi studi attingono in genere a stime ingegneristiche dei costi di costruzione, preparate dai costruttori degli impianti. Stime che divergono sistematicamente dai dati storici. Per esempio il contratto del nuovo reattore di Flamanville-3, in Francia, stimava i tempi di costruzione in 54 mesi, nonostante nessun reattore francese sia stato costruito in meno di 84 mesi dal 1990 in poi. Gli ultimi quattro reattori francesi, terminati fra il 1995 e il 2000, hanno avuto tempi di realizzazione fra i 100 e i 150 mesi. Ad oggi i lavori di Flamanville-3, iniziati nel 2007, hanno già accumulato due anni di ritardo rispetto al preventivo e si ritiene che la consegna non avverrà prima del 2014. I costi previsti di costruzione, stimati inizialmente in 3,4 miliardi di euro, sono già stati portati a 5 miliardi.
La “curva d’esperienza” non vale
Fra l’altro il nucleare sembra fare eccezione al fenomeno quasi universale della “curva di esperienza”, per cui i costi di una tecnologia diminuiscono nel tempo (come sperimentiamo nei prodotti informatici o nelle produzioni meccaniche). Le centrali nucleari hanno storicamente esibito il trend opposto, con una crescita progressiva dei costi e dei tempi di costruzione.
Date queste incertezze, il ritorno al nucleare in Italia ha più la natura di una scommessa che di un calcolo razionale. Se, smentendo la cattiva tradizione italiana riguardo le grandi opere, i costruttori realizzeranno le nuove centrali in tempi brevi e in modo efficiente, i promessi risparmi nei costi energetici si realizzeranno.
Se invece dovessero insorgere ritardi costruttivi simili a quelli emersi a Flamanville o a Olkiluoto (in Finlandia), dove si stanno installando reattori Epr del tipo che Enel desidera adottare in Italia, il ritorno al nucleare si tradurrebbe in un progressivo esborso di denaro che, prima o poi, sarebbe recuperato dai produttori elettrici o dallo Stato nelle nostre bollette.
Rischi di responsabilità civile pagati da noi
Inoltre il referendum si terrà in un contesto di incertezza regolativa, in quanto il governo non ha ancora specificato le forme di copertura finanziaria dei rischi delle centrali. Il nodo più ovvio è quello della responsabilità civile del produttore nucleare per i danni ai terzi che possono derivare da incidenti agli impianti o dagli effetti sulla salute di un eventuale innalzamento della radioattività di fondo nelle vicinanze delle centrali. Il decreto legislativo 31 del 15 febbraio 2010, oggetto del referendum, stabilisce che il produttore nucleare debba fornire una garanzia finanziaria a copertura del rischio. Tuttavia il settore assicurativo privato è da sempre non disponibile ad assumersi rischi nucleari in assenza di un tetto monetario ai danni risarcibili. Per esempio gli Stati Uniti limitano la responsabilità civile dei produttori nucleari a 375 milioni di dollari (coperti con polizze assicurative private), oltre i quali scatta un fondo di garanzia di settore, alimentato sempre dai produttori, che attualmente ammonta a 12,5 miliardi di dollari. Danni superiori sono a carico dal governo federale.
In Italia la vecchia normativa nucleare (legge 1860 del 31.12.1962) prevedeva un limite di responsabilità di 7,5 miliardi delle vecchie lire, oggi equivalente a pochi milioni di euro. Il decreto legislativo 31, citato poco sopra, tace sul nuovo limite e, anzi, richiama espressamente la legge del 1962, “dove applicabile”, tanto che bisogna supporre che il vecchio limite sia tuttora in vigore. Quale sarà il nuovo? La questione è importante, dato che il limite determinerà quale quota del rischio di responsabilità civile dovrà essere sopportata dai produttori e quale, mediante un’assunzione pubblica, sarà scaricata di fatto sui contribuenti.