Si torna a parlare di nucleare nel Mediterraneo. A cominciare dall'Egitto, dove il presidente Abdel Fattah Sisi ha firmato con il presidente russo Vladimir Putin un accordo commerciale che, tra le altre cose, prevede l'adozione del nucleare russo per la realizzazione di una grande centrale presso Dabaa, sulla costa del Mediterraneo non lontano da El Alamein.
Il progetto, in discussione da molti anni, riguarda una centrale di potenza variabile da 1.000 a 1.200 MW, di tipo VVER, cioè sostanzialmente simile ai reattori in pressione ad acqua leggera gestiti dalla nostra Enel nella centrale di Mochovce, in Slovacchia.
Tuttavia, secondo il capo di Rosatom, Sergey Kirienko (Rosatom è il Gruppo pubblico che gestisce l'intero settore nucleare russo) in ballo ci sono non uno, ma 4 reattori, per una potenza complessiva che potrebbe arrivare a 4.800 MW sul sito di Dabaa.
In realtà l'Egitto è stato tra i primi ad aver ipotizzato uno sviluppo dell'energia nucleare per compensare la mancanza di combustibili fossili nel Paese: è infatti privo di significative riserve di carbone e di petrolio, e solo da pochi anni sono state trovate riserve di gas di qualche entità. Il primo programma nucleare egiziano risale addirittura al 1954, mentre di una grande centrale di potenza presso Dabaa si parla dall'inizio degli anni '80.
Dapprima i conflitti arabo-israeliani, e poi l'incidente del 1986 alla centrale sovietica di Chernobyl hanno però bloccato tutto, sicché finora non si è andati oltre un paio di reattori di ricerca, entrati in esercizio il primo (2 MW di progettazione sovietica) nel 1961, l'altro (22 MW di progettazione argentina) nel 1997.
Il progetto di puntare anche sul nucleare per risolvere i problemi energetici del Paese non è mai stato abbandonato. È anzi stato rilanciato nel 2006 da Hosni Mubarak, che prevedeva di lanciare una prima gara internazionale nel 2011. Progetti che sono poi stati scompaginati dalla rivoluzione del 2011-2013, ma anche la successiva amministrazione Morsi ha confermato l'appoggio al nucleare, con 4.000 MW da far entrare in esercizio tra il 2020 e il 2025.
Secondo molti osservatori, questa del presidente Sisi ha molte probabilità di essere la volta buona.
La diplomazia del nucleare russo
Attualmente nessun Paese arabo è dotato di centrali nucleari, anche se sono molti che si dichiarano interessati. Nel 2010 è stato costituito l' Annur (Arab Network of Nuclear Regulators), che raccoglie tutti i 22 membri della Lega Araba (Algeria, Arabia Saudita, Bahrein, Comore, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Gibuti, Giordania, Iraq, Kuwait, Libano, Libia, Marocco, Mauritania, Oman, Palestina, Qatar, Siria, Somalia, Sudan, Tunisia, Yemen) con l'obiettivo di armonizzare le normative di settore fra i diversi Paesi, oltre che di favorire lo scambio di conoscenze ed esperienze.
Si è trattato di un primo passo importante per realizzare seri progetti nucleari in un'ottica di sviluppo e cooperazione. Non a caso subito dopo si è ricominciato a parlare di progetti industriali di sviluppo.
Il programma nucleare più avanzato è quello degli Emirati Arabi Uniti, dove presso Braka sono già in costruzione i primi 3 reattori (di progettazione coreana, per complessivi 4.200 MW) ed è stata presentata la richiesta per un quarto. Il primo di questi quattro reattori inizierà a generare elettricità nel 2017, l'ultimo nel 2020.
Sul lungo periodo, il programma più ambizioso è quello dell' Arabia Saudita, che punta a mettere in esercizio ben 16 reattori tra il 2020 e il 2030.
Altri Paesi arabi stanno valutando la possibilità di costruire una centrale: la Tunisia, il Marocco, il Kuwait, l'Algeria e la Giordania.
In quest'ultimo Paese è già stata espletata la gara, vinta dalla Rosatom, per un primo impianto da 1.000 MW nel nord, presso Zarqa. Sul sito sono previsti due reattori identici, da mettere in esercizio entro il 2025, destinati alla generazione elettrica (per coprire il 25% della domanda nazionale) ma anche alla desalinizzazione dell'acqua di mare: una necessità impellente in un Paese dalle scarsissime risorse idriche.
Interessante l'aspetto economico, con la Russia che si è dichiarata disposta a contribuire per il 49% dei 7 miliardi di euro previsti per il progetto. È però aperta anche l'alternativa build-own-operate, una formula già sperimentata dalla Russia, con l'accordo per la centrale di Akkuyu, in costruzione sulla costa mediterranea della Turchia. La soluzione prevede l'intero investimento a carico di Rosatom, che controllerebbe la proprietà della centrale e provvederebbe a costruirla e gestirla per tutta la durata di funzionamento (fino a 60 anni), oltre a incaricarsi delle forniture di combustibile, dello smaltimento delle scorie e dello smantellamento dell'impianto al termine della sua attività.
In generale, comunque, il nucleare russo è in ballo in quasi tutti i Paesi arabi: in Tunisia tra le ipotesi in discussione c'è l'acquisto di una delle centrali galleggianti che Rosatom sta costruendo; un accordo di cooperazione a tutto campo nel settore è stato firmato lo scorso settembre con l' Algeria; contatti continuano ad essere in corso con il Marocco dopo gli accordi di cooperazione del 2006; e per finire circa un anno fa Rosatom si è offerta di realizzare anche la prima centrale nucleare del Kuwait.
[ Valter Cirillo]
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