Nulla si distrugge, tutto si trasforma
La storia della Scalvenzi Spa che è riuscita a superare una crisi aziendale grazie ai propri dipendenti e che oggi opera nel settore dei servizi ecologici
Da Pontevico (BS)
Nerina Carlotti, presidente Scalvenzi
E’ il workers by out, un modello nato negli Usa, conosciuto in Argentina con le Fabricas Recuperadas e da qualche anno, presente anche in Italia. Per legge, i dipendenti che vogliono proseguire l’attività in fallimento possono costituirsi in coop e ricevere dall’Inps l’anticipo di tutto il periodo di mobilità da destinarsi al capitale sociale dell’azienda. Una pratica virtuosa che consente di salvare posti di lavoro e di risparmiare soldi pubblici destinati agli ammortizzatori sociali.
Ed è a Pontevico, un paese sul fiume Oglio, tra l’agricoltura di Cremona e l’acciaio di Brescia che già nel 1982 la Scalvenzi ha precorso i tempi diventando, dopo due anni di occupazione della fabbrica, una Cooperativa di lavoratori. Una storia, oggi raccolta in un libro dal titolo“Cinquecentottantaquattrogiorni, 25 anni” che inizia con le Officine Fratelli Scalvenzi. Allora erano le macchine agricole e le ruote per i carri il core business dell’azienda che, negli anni ’70, arriva a dare lavoro a 130 operai. Sono anni di cambiamenti importanti anche per il settore agricolo: per la F.lli Scalvenzi inizia una crisi profonda che si chiude, alla fine degli anni ’80, con la messa in liquidazione dell’azienda e il suicidio di uno dei titolari.
“Questa tragedia”, racconta Nerina Carlotti, presidente della Scalvenzi, “provocò la chiusura del credito da parte delle banche ma nello stesso tempo, raccolse tutto il paese intorno alla nostra vicenda. Per noi la Scalvenzi è come la FIAT per Torino e la notizia che qualcuno aveva deciso di pagare con la propria vita, ci diede la forza di lottare. Intere generazioni hanno lavorato in questa azienda e nessuno ne voleva decretare la fine. Da subito la Regione Lombardia, il Comune di Pontevico si mossero con il curatore fallimentare per trovare un accordo e consentire ai lavoratori di acquistare impianti e macchinari, in cambio della rinuncia ai crediti”.
Nerina Carlotti è oggi presidente della Cooperativa ma ventitrè anni fa, quando iniziò a lavorare era impiegata in amministrazione e le cose, come racconta: “erano molto diverse. Nessuno di noi sapeva come gestire un’azienda, renderla competitiva, fare investimenti in nuovi prodotti”.
Aldo Montagnini, Amministratore Delegato Scalvenzi
Dopo anni di investimenti la Scalvenzi è riuscita a ritagliarsi una posizione da leader nel mercato in cui opera e, come spiega ancora Nerina Carlotti: “il processo di cambiamento non è stato facile. La nostra è comunque una produzione di tipo industriale e dobbiamo essere competitivi. Questo vuol dire che in una Cooperativa tutti devono fare dei sacrifici, ognuno per la propria parte. Oggi il Consiglio di amministrazione è composto da nove membri ma tante sono state le difficoltà e i passaggi per arrivare a trovare il modello organizzativo giusto”.
Oggi la Cooperativa produce esclusivamenete macchinari per il settore dei servizi ecologici e vanta tra i propri clienti Multiutily quali A2A, Hera, Iren, AMIAT e altre importanti realtà pubbliche e private. Dallo stabilimento della Scalvenzi oggi escono, come spiega Aldo Montagnini, Amministratore Delegato della Scalvenzi: “compattatori per carta e rifiuti, presse stazionarie, cassoni scarrabili, impianti complessi di stoccaggio con un’attività che dà lavoro, oltre ai 35 soci lavoratori e ai 13 dipendenti, ad un indotto di 20 persone”. “Anch’io, come Nerina”, prosegue Montagnini, “ho passato più della metà della mia vita in questa azienda. Venti anni fa, grazie alle mie competenze in elettrotecnica, ho iniziato nell’ufficio tecnico e uno dei soci fondatori mi ha voluto al suo fianco. Oggi il mio voto di amministratore delegato conta come quello di un operaio e sono orgoglioso di pensare che le decisioni non le prendi sulla tua azienda ma sulla nostra”.
Un’esperienza lunga e complessa che oggi fa scuola e che, come si augurano alla Scalvenzi: “speriamo di poter esportare”. All’Università di Brescia nel corso dedicato all’Economia della Cooperazione gli studenti possono ascoltare la testimonianza di chi ha vissuto, in prima persona, questa avventura.
Una logica di partecipazione dal basso che in Italia sta muovendo i primi passi in assoluto silenzio. Il workers buy out, pur rappresentando una valida risposta alla crisi economica, è ovviamente lasciato al volere delle singole aziende, senza alcuna regia politico istituzionale nè tantomeno fondi dedicati.
E’ confortante sapere però che qualcuno non si arrende e che qualcun altro seguirà o sta già seguendo questo esempio.