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Nuova recensione Cineland. American Sniper di Clint Eastwood
Creato il 07 gennaio 2015 da L'Immagine Allo SpecchioAmerican Sniper di Clint Eastwood con Bradley Cooper, Sienna Miller, Kyle Gallner, Luke Grimes Biografico, Guerra, 132 min., USA, 2014
Il texano Chris Kyle (Bradley Cooper) si arruola nell’esercito e diventa cecchino nei Navi SEAL. Il battesimo avviene in Iraq, dove si apposta sui tetti per proteggere le operazioni a terra dei suoi commilitoni. Grazie alle numerose uccisioni diventa ben presto una leggenda per i compagni e una minaccia per i nemici. Ma alla gloria sul campo corrisponde un allontanamento dalla famiglia e un aumento dei problemi di salute (mentali più che fisici) nei periodi di congedo. Combattere diventa un’esigenza che non gli permette di reinserirsi nella vita civile. Kyle troverà pace solo grazie all’amore della moglie (Sienna Miller) e ad una nuova missione, addestrare al tiro persone con gravi menomazioni fisiche che, gioco del destino, gli sarà fatale.
Tratto da una storia vera, American Sniper tralascia qualsiasi intento documentaristico per concentrarsi sulle traversie (interiori ed esteriori) del suo protagonista. Non ci troviamo dunque di fronte ad una ricostruzione minuziosa delle operazioni di guerra alla Zero Dark Thirty (Kathryn Bigelow, 2012), bensì ad un film hollywoodiano dall’impianto classico in cui ci si focalizza sulla personalità del personaggio principale cesellandola grazie ad elementi retorici funzionali alla narrazione quali la storia d’amore con la moglie, i duelli con un nemico che incarna il suo opposto, le reazioni alle tragiche dipartite sul campo dei compagni di battaglia, i dolorosi ritorni a casa. Come prima cosa, Eastwood sembra però voler mettere al centro un dubbio che è sociale e morale insieme: Chris Kyle è un cecchino che, nonostante le oltre 160 uccisioni accreditate al suo attivo, non si sente tale. Ai tetti dai quali si apposta per sparare in solitaria preferisce combattere in strada con i suoi compagni di brigata. Si trova quindi, come per uno strano gioco del destino, a sentirsi chiamato “The Legend” perché, come spesso accade, gli eserciti hanno bisogno di eroi per trovare quelle motivazioni di cui una guerra di difficile giustificazione spesso difetta. A dirla tutta Kyle non era neanche il più “leggendario” tra i cecchini. Le cronache di guerra riportano che la sua uccisione a 1,9 chilometri non è un record, se si considera che altri soldati, appartenenti a corpi meno blasonati, sono riusciti a colpire il loro bersaglio a più di due chilometri di distanza.
L’eroe che non è e che non si sente tale diventa paradigma per una riflessione sull’interiorità dei combattenti che, partiti pieni di ideali (Dio, Patria e Famiglia), tornano ipertesi, svuotati, senza riconoscibilità sociale. Attraverso le vicissitudini di Kyle, Eastwood non fa altro che riproporre le tematiche legate al problema dei reduci, in passato persone dalla vita distrutta dalla leva obbligatoria, ora automi spinti a combattere dal contesto in cui vivono (zone depresse e permeate da un nazionalismo esasperato in cui, per cultura, si comincia a sparare sin da bambini). Per affinità tematiche, il film si pone dunque in linea di continuità con opere quali Orizzonti di gloria (Paths of Glory, Stanley Kubrick, 1957), La sottile linea rossa (The Thin Red Line, Terrence Malick, 1998) e, ancor di più, con Il cacciatore di Michael Cimino (The Deer Hunter, 1978).
Con la sua ultima opera, Eastwood ci vuole far capire l’essenza della guerra e i suoi indelebili effetti su chi ne prende parte. La chiave interpretativa ce la fornisce in grande stile, ovvero attraverso una battuta di uno dei suoi personaggi: “Avevamo una rete elettrificata attorno alla nostra proprietà in Oregon e noi bambini ci attaccavamo per vedere chi riusciva a resistere più a lungo. La guerra è così, ti mette una scarica di elettricità nelle ossa, ma se ti stacchi muori.”
Voto: 3 ½ su 5
(Film visionato il 2 gennaio 2014)
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