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Nuova recensione Cineland. Robocop di J.Padilha
Creato il 16 febbraio 2014 da L'Immagine Allo SpecchioNel 2028 la multinazionale OmniCorp, leader nel settore della tecnologia robotica, ha prodotto e fornito agli USA androidi di pattuglia che garantiscono di vincere e mantenere l’ordine nei teatri di guerra. Raymond Sellars (Michael Keaton), leader dell’azienda, fiuta però un’ulteriore possibilità di profitto e cerca, spinto dal consenso mediatico di cui godono le sue macchine, di estendere il mercato anche all’uso interno. L’unico ostacolo alla diffusione dei robot sul suolo nordamericano è rappresentato dall’emendamento sostenuto dal senatore Hubert Dreyfuss, che non è disposto ad affidare l’ordine a macchine prive di coscienza. È a questo punto che in Sellars comincia a farsi spazio un’idea per aggirare il problema: mettere un uomo all’interno della macchina.
Era il 1987 quando Paul Verhoeven, alla sua prima prova hollywoodiana, portava sullo schermo le gesta di un agente di Detroit che, ucciso da alcuni malviventi, veniva trasformato in un cyborg al servizio della polizia. La sua memoria prendeva tuttavia il sopravvento sul corpo robotico e lo portava a vendicarsi senza pietà. Sono passati quasi trent’anni e José Padilha, anch’egli alla sua prima prova hollywoodiana dopo il successo dei due adrenalinici capitoli di Tropa de Elite, ha il difficile compito di attualizzare un film già entrato nella storia.
Facilitato a livello tecnico da un budget da 100 milioni di dollari che gli permette di sfruttare effetti speciali spintissimi e armamenti avveniristici, è a livello tematico/contenutistico che il regista e i suoi sceneggiatori (Nick Schenk, James Vanderbilt, Joshua Zetumer) hanno deciso di giocarsi il tutto per tutto, finendo però con il (sovra)caricare la storia di elementi contestuali. Qualcuno di questi rende la narrazione indubbiamente interessante, mentre qualcun altro appesantisce il tutto rendendo ampolloso qualche passaggio di troppo. è il caso degli interrogativi che assalgono l’uomo nella macchina (Joel Kinnaman) e che ci fanno conoscere un Robocop “esistenzialista” al centro di un cortocircuito tra coscienza/parte umana (positiva) e irrazionalità/corpo robotico (negativo) che si risolve in una vendetta non solo nei confronti di chi ha attentato alla sua vita, ma soprattutto verso chi lo ha sfruttato (la OmniCorp) per una mera operazione pubblicitaria.
Ed è proprio sull’operazione commerciale della multinazionale che vengono innestate le considerazioni più interessanti promosse dal film: Robocop viene utilizzato come un giocattolone che deve mettere d’accordo lo schieramento politico (presumibilmente democratico) contrario all’utilizzo dei robot ai fini della sicurezza interna e il mondo industriale globalizzato e un po’ repubblicano che invece vuole lucrare sulla paura. La partita si gioca a livello mediatico: l’ossessione statunitense per le minacce esterne (“Mai più un altro Vietnam, mai più un altro Iraq o Afghanistan” dichiara un generale riguardo i benefici dell’utilizzo dei robot) ed interne (dov’è in tutto il film la polizia di Detroit?) spinge una parte degli organi d’informazione (guidati dalla trasmissione d’approfondimento “The Novak Element” di Pat Novak, interpretato da Samuel L. Jackson) a schierarsi dalla parte della OmniCorp, intenta a diffondere la cultura del terrore tramite mirate strategie di marketing e comunicazione.
La vicenda esistenziale di Alex Murphy, esile in quanto circoscritta ai soli rapporti che lo legano alla famiglia e agli assassini, finisce così con l’amalgamarsi a fatica con macrotemi gravidi di implicazioni. Tematiche troppo grandi anche per un automa sì invincibile ma ridimensionato dal suo status di prodotto “Made in China”. Del resto anche la multinazionale OmniCorp ha dovuto delocalizzare per sfruttare manodopera e componenti elettronici a basso costo.
Voto: 3 su 5
(Film visionato il 12 febbraio 2014)
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