Bisogna usare la testa per scrivere? Non è semplice rispondere a una questione del genere.
Se per testa infatti si intende “pianificazione”, allora abbiamo un problema. Coi racconti a parer mio non può affatto funzionare. Col romanzo si dice che sia necessaria, e mi fido del giudizio altrui.
Però ho anche il sospetto che a furia di pianificare, non si ottenga un romanzo, ma la pianificazione di un romanzo. Quindi, attenzione.
Il pericolo mortale per certe storie estese non è la quantità di pagine, o di personaggi; è la mancanza di coraggio nel far spazio alla storia. Allora interviene la testa, ci pensa lei a sistemare le cose; e finisce tutto sottoterra. Non importa se è un romanzo o un racconto; secondo me è essenziale che si scriva. In un certo senso, le mani devono disarticolarsi dalla riflessione, dalla testa e muoversi.
La scrittura (almeno la prima stesura), ha a che fare con l’improvvisazione pura e semplice, e basta. C’è un’immagine, e si prova a vedere cosa succede se. Non c’è alcuna garanzia, come si sa: si comincia e si incrociano le dita nella speranza che si arrivi da qualche parte. La mia esperienza (che non vale nulla), è che il pensare troppo, il fissare su binari una storia la fa deragliare.
L’obiezione potrebbe essere: se lasci troppa libertà, o se è la libertà a condurre le danze, è un guaio.
In parte è vero, soprattutto se è il romanzo il nostro obiettivo. Ma per me libertà e disciplina non sono nemiche, ma alleate.
Mi rendo conto che è un’alleanza impegnativa, e che non è affatto semplice agire in modo che queste due qualità collaborino, invece di prendersi a pugni sui denti. Però non riesco a immaginare altro che queste due signore: libertà e disciplina.
Forse non è un paragone azzeccato, ma: è come gettarsi in acqua. A quel punto è una faccenda personale tra noi, e appunto l’elemento liquido. O nuotiamo, o diventeremo uno dei tanti ospiti del fondo del mare, almeno finché i pesci non ci avranno spolpato.
E nuotiamo grazie al talento (forse). Voglio dire: non è normale scrivere delle storie, giusto? Non solo perché il mondo ne è già pieno a sufficienza, e chissà in futuro. Soprattutto non è normale scrivere un certo tipo di storie, quelle destinate a durare e perciò di scarso richiamo presso il pubblico. Ci troviamo in un elemento a noi estraneo, e il rischio di finire a fondo esiste.
A quel punto, tiriamo fuori tutta la nostra forza, e volontà, e cerchiamo di cavarcela, in quel mare. Imparare a sopravvivere, a nuotare, è l’unico modo che abbiamo per diventare degli autori. Nella testa abbiamo i consigli degli altri, ma siamo noi che dobbiamo agire.
Gli autori infatti affermano che bisogna buttare fuori quello che abbiamo dentro. Non pianifichiamo troppo, ma buttiamoci.
Può darsi che si finisca a fondo, oppure che si riesca a galleggiare. All’inizio sembrerà poca cosa, e una vocina dirà che anche i tronchi galleggiano. Accettate pure la vocina, l’avrete sempre con voi. Le sue risate sguaiate saranno sempre la colonna sonora delle giornate.
Però galleggerete! Forse per una questione di fortuna, o forse di talento: ma galleggerete.