di Alessandro Tinti
Nonostante il tentativo di dissociarsi formalmente dalla tagliente e deleteria retorica di George W. Bush, l’amministrazione Obama non ha rinunciato ai droni Predator e Reaper per bombardare i “santuari” di al-Qaeda e di altre organizzazioni jihadiste, così pareggiandone l’opacità e la flessibilità tattica. Il rilievo assunto da questo metodo di repressione indiretta testimonia però l’ingresso degli Stati Uniti in uno stato di guerra permanente dall’obiettivo politico quanto mai sfuocato, che ridimensiona l’efficacia complessiva della strategia americana.
In questo Research Paper si ripercorre l’evoluzione (mancata) della politica di anti-terrorismo condotta dagli Stati Uniti in Pakistan, alleato equivoco che dal 2004 ad oggi è stato il primo bersaglio dei droni armati. Se la centralità di Islamabad nella lettura strategica di Washington induce a pensare che i droni non abbandoneranno presto i cieli del Pakistan, una pluralità di argomentazioni contestano la sostenibilità delle operazioni classificate su cui sono di fatto imperniate le ondivaghe relazioni bilaterali e aprono perciò a una più ampia discussione sulle contraddizioni lasciate in eredità dalla “guerra globale al terrorismo”.
Scarica gratuitamente il Research Paper N°39/febbraio 2016: “Obama e il vicolo cieco della guerra dei droni“
Photo credits: USAF
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