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Occorre affidarsi all’autore

Da Marcofre

Quando si parla di “qualità” dell’opera narrativa, spesso si intende la capacità dell’autore di incontrare il gusto del pubblico. Il che è un grossolano errore. Infatti il gusto del singolo è spesso dominato da un insieme di fattori che sono incapaci a cogliere la bontà (se esiste) della storia.
Facciamo un esempio un po’ grossolano?

Il buon Torquato Tasso ha scritto la “Gerusalemme Liberata”: che cos’è? Un capolavoro? Uno dei pilastri della letteratura italiana? Certo, questo è ovvio anche alle grondaie.

Però è anche un’opera di propaganda. È stata commissionata per celebrare la prima crociata, quindi una guerra sanguinosa. Benché raffiguri un’altra epoca, un modo di vedere e raffigurare il mondo ben distante dal nostro, il suo valore è tale che gli si riconosce un posto di rilievo nel panorama della nostra cultura.

Cosa sarebbe successo se George W. Bush, dopo aver rovesciato il regime di Saddam Hussein, avesse commissionato all’ottimo Cormac McCarthy un’opera per celebrare l’impresa?

I tuoni e i fulmini si sarebbero sprecati. Su Bush troppo facile sparare a zero. E sullo scrittore?
Un venduto, uno in crisi di ispirazione che si accontenta di soldi facili.
Un servo dell’imperialismo americano, che finalmente aveva gettato la maschera.
Decine di critici e scrittori, sinceri ammiratori dell’opera del Nostro, si sarebbero affrettati a prenderne le distanze.

Qualcuno di certo avrebbe dichiarato: “Ma io ve l’avevo detto”. Perché c’è sempre qualcuno che vede tutto prima degli altri, peccato che lo riveli sempre dopo.

Cosa c’è di sbagliato in questo atteggiamento? Tutto.

Un’opera deve essere giudicata per quello che è, per il valore in sé, e basta. Che poi i personaggi la pensino in maniera differente, e distante da noi, è una faccenda del tutto marginale. Ormai esiste da tempo la tendenza ad affrontare la pagina scritta come se fosse una partita di calcio: occorre schierarsi. E naturalmente ci si schiera sempre dalla parte sbagliata. Non è mai dalla parte della storia, dell’efficacia, o del valore dello scritto; ma delle nostre idee, della nostra concezione del mondo, e via discorrendo.

È un modo di affrontare la letteratura che ben presto inizierà a blaterare che l’Iliade e l’Odissea, con tutti quei morti signora mia, non è mica una lettura da fare. Bisogna educare i giovani all’arte della fratellanza, del dialogo: concordo.

Ma l’arte se ne infischia di queste cose. È un altro territorio. Se non si compie lo sforzo di mettersi da parte, e affidarsi all’autore, tanto varrebbe leggere per tutta la vita il proprio diario. In questo modo, saremo sempre d’accordo con l’autore.

Lo scrittore può essere una capra; sbaglia dialoghi, scene o storie: su questo deve essere giudicato. Sul perché scriva, se per celebrare la potenza degli Stati Uniti d’America, rimpinguare il conto in banca, o per passare alla storia, sono tutte questioni che riguardano lui, e la sua coscienza, se ne ha una.

Non è facile fare il lettore, vero?


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