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Non è la storia di un naufragio, questa.La prima sorpresa risiede esattamente qui, perché tu inizi a leggere Oceano mare e ti aspetti che tutto parta dal disordine e dalla perdita di ogni contatto con la terra. Una zattera, uomini che tentano di vincere il mare. E invece no.
"Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare - il mare - nell'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che soffia sempre da nord.La spiaggia. E il mare".
Sembra quasi di sentire il vento che soffia, la sabbia che si sposta e ti immagini tutto ciò che è destinato a mutare insieme al tempo, e poi ad un tratto vedi il mare. Effettivamente lui non cambia. Non ci è dato sapere né quando né come sia nato, eppure è lì, e non invecchia, e non muore. Il mare.
Scrivere di Oceano mare è piuttosto complicato, forse parlarne un po' meno. Ad alta voce, con le mani che disegnano strane forme nell'aria e di sicuro aiuterebbero gli occhi. Forse la verità di ogni storia è proprio lì. Negli occhi. E se io ora dovessi raccontarvi il modo in cui ho scoperto che, anche il mare ha gli occhi e che potrei dirvi esattamente dove sono e quanti sono? Mica è facile. Per questo non lo farò. Resterà il leggero accenno, a questa mia straordinaria scoperta.
Il mare e la verità. Due concetti indefinibili per loro stessa natura. Ma si parte da qui, e si procede lungo tre blocchi narrativi. Tre libri. Locanda Almayer - Il ventre del mare - I canti del ritorno.
Alessandro Baricco l'ho scoperto qui, tra queste pagine. Tornavo dalla libreria con due libri in mano, Oceano mare e Una certa idea di mondo. Ho pensato di iniziare così con Baricco, e mi pare che tutto vada come immaginavo. Di Baricco infatti mi incuriosiva soprattutto, la sua abilità linguistica. I suoi giochi di parole e il suo talento nel rendere tutto così surreale, sfuggevole e frastagliato. Emozioni, parole, luoghi. Tutto appare e scompare senza mai un ordine preciso. Senza ragioni se non quelle che dimorano e muovono gli impulsi, nell'anima e nel corpo di uno scrittore.
Oceano mare è questo. La storia di un luogo/non luogo. Di personaggi descritti talmente bene da rimanerne sedotti e pieni di domande. Uomini e donne innalzati a metafore esistenziali. La ragazzina affetta dal male di vivere, Elisewin. "Troppo fragile per vivere e troppo viva per morire" (Baricco dice più o meno questo).Plasson, il personaggio più amato (da me) insieme al professor Bartleboom. Del primo resta una tela bianca, colorata dell'immenso tutto, o dell'immenso niente, del mare. Del secondo una scatola di mogano, piena di lettere e piena d'amore. Un amore solo immaginato, da tutta una vita e destinato a quella che sarebbe stata senza ombra di dubbio, la degna destinataria di così tanta adorazione. Plasson e Bartleboom, quelli che, "se montati insieme farebbero un matto unico e perfetto".
La donna adultera Ann Deverià, Padre Pluche, Savigny, Adams e una settima stanza.I bambini della locanda. La locanda Almayer, forse la protagonista assoluta di questa storia. Tutto è raccontato dall'autore secondo nessuna logica. Non ti è dato capire se la donna che si trascina in mare col suo mantello viola, sia realmente così. La ragazzina con il uso ombrellino, abituata a vivere in una stanza rivestita di solo velluto, e sogni appartenenti ad altri. Baricco sfoggia le sue abilità, seduce il lettore attraverso le immagini di una locanda collocata fuori dal mondo e animata dai suoi angeli e dai suoi clienti di passaggio. E poi li travolge senza pietà, portandoli nel ventre di quello stesso mare che un attimo prima è salvezza, è vita e, un attimo dopo diventa sangue e morte.
Non c'è "un" modo di interpretare Oceano mare. Come accennavo all'inizio, dipende tutto dagli occhi. Ogni cosa nasconde bellezza o terrore a seconda degli occhi che la osservano. Dire il mare è un po' come dire la vita stessa. La vita e il mondo intero. Baricco me lo immagino come un uomo intelligente, anzi, preferirei dire "paraculo". Uno che sfrutta per intero i suoi mezzi, senza risparmiare niente e nessuno. Ci riesce. Eccome se ci riesce. E questo fa di lui uno scrittore che non prevede vie di mezzo. O lo ami, o lo odi. (stop!)
Io l'ho amato, l'ho capito a volte, e l'ho persino odiato dal profondo. Sì insomma, è chiaro. Baricco sa come prendermi.
"Fanno delle cose, le donne, alle volte, che c'è da rimanerci secchi. Potresti passare una vita a provarci: ma non saresti capace di avere quella leggerezza che hanno loro, alle volte. Sono leggere dentro. Dentro".
Ecco, lui dice questo. Lo fa con assoluta padronanza poetica, quella di cui solo i grandi scrittori sono capaci. Poi però usa una "scopata" come metafora della scoperta e dell'iniziazione alla vita, e qualcosa s'incrina. Ma non potrei nemmeno biasimarlo, in fondo è nella natura dell'uomo e della donna, questo bisogno carnale di assaporare le cose, gli attimi.E alla fine non puoi incazzarti con lui, con questo romanzo assurdo che tira fuori il meglio e il peggio per poi gettarlo su una tela indefinita. Bianca. Completamente bianca.E ti chiedi dove finisca "tutto", cerchi le parole, provi ad afferrarle, a ricordarle, ma niente. Dietro quella montagna di fogli accatastati rimane solo un granello di sabbia, una piccola imperfezione. E dietro, dietro di te, solamente il mare.
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