Oggi al Cinema ha intervistato Carlo Verdone.
Noi italiani siamo autolesionisti. Così Carlo Verdone commenta il disaccordo tra la critica straniera e quella italiana, la prima che ha osannato La grande bellezza, la seconda che su molte testate ha espresso il suo non pieno gradimento. Nel film di Sorrentino, l’attore Verdone si presta per la prima volta ad un ruolo drammatico, ed il personaggio che porta sullo schermo è probabilmente uno dei più umani e puri della pellicola. Ma la vera protagonista del film rimane sempre e comunque Roma, la sua città natale e sfondo di quasi tutti i suoi film da regista, che vista da Sorrentino acquista un’immagine unica e molto personale.
La Roma descritta da Sorrentino esiste davvero?
Roma è tante cose, ed è anche così come la descrive Paolo, se la giri di notte o la domenica mattina, una città che ti stupisce con la sua bellezza. Di notte si può ammirare la sua maestosità che dorme, all’alba invece comincia a vibrare. Di giorno poi sembra indifferente nei confronti dei suoi cittadini, ma in realtà sono quest’ultimi ad essere indifferenti verso di lei, perché non vogliono bene a Roma. Io credo che il pregio maggiore del film, tra i tanti, sia quello di esser capace di far amare questa città ancor di più. La Roma descritta è una Roma metafisica, anche con qualche botta psichedelica. Nel film Roma è una metafora di un mondo senza etica, senza morale, una città divisa tra sacro e profano, tra spiritualità e amoralità. Il risultato è un film bipolare.
Ma queste feste rappresentate nel film ci sono veramente nel quotidiano?
Ma certo, stiamo scherzando. Io mi arrabbio con chi non pensa sia così. Un mio amico giornalista mi ha chiesto: ma dove stanno queste feste? Gli ho dovuto far vedere delle foto di una serata passata insieme in una festa del genere per fargli ricordare come stanno le cose. Io personalmente ormai non ho l’età per frequentare giornalmente eventi simili, ma chi fa lo spettacolo deve capire come va il mondo e ogni tanto capita anche di andarci. Roma ormai è sbandata, senza etica e senza riferimenti, caratterizzata da un forte senso di solitudine e da momenti di follia. Siamo tutti soli in fin dei conti, e il film mette insieme proprio un mosaico di personaggi pieni di solitudine. Il mio infatti è segnato dalla nostalgia, dalla malinconia. Chi non crede ad un Roma così basta che accende la televisione e vede ad esempio il programma di Massimo Marino.
Che tipo è il tuo personaggio?
Paolo ha scritto per me questo personaggio, e me l’ha presentato dicendomi che è un buono, una persona disincantata, un grande amico di Jep Gambardella, ma tutto tranne che cinico.
La grande bellezza per lei cos’è?
La grande bellezza è la nostalgia di quand’eri giovane,vdi quando speravi che il futuro potesse essere migliore, l’illusione giovanile di non invecchiare mai o comunque lentamente. La scena finale del film è un chiaro riferimento a quanto credevamo che tutto potesse essere in un certo modo e invece così non è stato.
Che impressione si è fatto del festival in questi giorni?
Qui a Cannes, convivono un grande mercato del cinema e un grande festival, finanziato da uno stato che crede nello spettacolo – tant’è che qui loro aprono sale, noi le chiudiamo. Ma non mi va neanche di fare un paragone con l’Italia. Sinceramente spero in una rinascita per il nostre paese, ma certe volte ho paura che in realtà siamo più in basso di quello che si dice. Stiamo tra terra ferma e precipizio.
Cos’è per lei La dolce vita di Fellini?
E’ un film irripetibile, il più bello del regista riminese insieme a 8 ½, che però è più intellettuale. La dolce vita ha fotografato momento, un periodo storico e resterà il film di Fellini più importante. La grande bellezza riporta un’immagine trasfigurata di Roma, ma credo che a suo modo sia comunque un quadro importante.
Stare sul set con Sorrentino è come star sul set con Verdone regista?
Stiamo esattamente agli opposti. Io sul set mi devo divertire e sono spesso esagerato, faccio le voci, gli attori si divertono, si lavora in piena serenità. Con Paolo sul set vige invece un rigoroso silenzio, che incute anche timore nei suoi collaboratori. Due risate ogni tanto gliele strappavo, ma ce n’è voluto. E’ un regista disciplinato, rigoroso, ma anche gentile.
di Antonio Valerio Spera