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Partiamo da una notizia di cronaca. In Inghilterra, una donna di settantasette anni malata terminale di cancro, aveva espresso come ultimo desiderio quello di rivedere e salutare il suo affezionato cavallo prima di morire. I medici del Royal Infirmary di Wigan, presso il quale era ricoverata, l’hanno accontentata. Va da sé che i sanitari non potevano condurre il preferito dei sei cavalli di Sheila Marsh fino alla sua camera di degenza. Allora la donna è stata portata nel cortile dell’ospedale, dove il suo vecchio stallone ha potuto avvicinarsi al letto e strofinare il suo muso sulla guancia dell’amata padrona. Il loro addio è stato commovente. La signora Marsh si è spenta poche ore dopo avere salutato Brownen, che ha venticinque anni e presto la raggiungerà. A meno che non sia longevo come Marengo, l’irriducibile cavallo di Napoleone Bonaparte, che morì a trentotto anni, se non addirittura come Old Billy, vissuto nel XIX secolo e morto a sessantotto anni. È una bella storia, per quanto i soliti cinici la definiranno stucchevole, e mi offre lo spunto per ricamare un elogio del cavallo, animale così nobile e utile all’uomo che proprio non capisco come si possa mangiare carne equina. Più che un elogio, voglio confezionare un pot-pourri. Di cavalli famosi sono piene le pagine dei libri, le leggende e le opere d’arte oltre che i maneggi. Nessun animale ha ricevuto più attenzioni dall’uomo, forse perché gli è sempre stato accanto, fin da quando fu addomesticato, settemila anni fa. I greci ritenevano che erano tirati dai cavalli il carro del sole e quello di Poseidone, il che conferma quale valore simbolico gli attribuissero. L’impetuoso cavallo alato Pegaso, nato dalla testa di Medusa, fu domato solo da Bellerofonte e portò a Giove il lampo e il tuono. Nell’Iliade si racconta che Balio e Xanto, i cavalli immortali che Achille donò a Patroclo, piansero la morte del loro padrone con il muso chino. È un mito? Può darsi, ma chi possiede un cavallo con cui ha stabilito un forte legame affettivo, è pronto a giurare che l’equino ama il suo padrone e non solo perché lo accudisce e sfama. L’amore sarebbe reciproco, dunque. Significativa è la vicenda di Bucefalo, il cavallo di Alessandro il Grande. Il condottiero macedone gli attribuì grandi onori terreni, sia in vita che dopo la morte. Altri tempi, si dirà. Bene, provate a chiedere a un musulmano che valore abbia il cavallo. Vi dirà che è un animale sacro. Si crede, infatti, che un cavallo miracoloso chiamato Al Burak, guidato dall’arcangelo Gabriele, cavalcò in una sola notte dalla Mecca a Gerusalemme, portando sulla groppa il profeta Maometto, per poi salire in cielo. Le saghe nordiche esaltano Sleipnir, l’instancabile destriero del dio Odino. La sua peculiarità è quella di avere otto zampe anziché quattro. Anche l’India vedica e buddhista venera il cavallo. Quello di Visnù si chiamava Kalki, mentre Kantaka era il destriero del Buddha. I cavalli possono volare, l’hanno dimostrato quelli della Cavalcata delle Walchirie di Wagner. Ciononostante, tutti noi speriamo di non vedere mai apparire nei cieli i quattro destrieri dei cavalieri dell’Apocalisse. I cavalli sono semplici e virtuosi, basta pensare agli Houyhnhnh dei Viaggi di Gulliver di Swift. Ma sono anche intelligenti. Oh certo, non è che tutti sanno fare le quattro operazioni aritmetiche come il famoso Hans Klug (Gianni l’intelligente), un cavallo in carne e ossa appartenuto al benestante tedesco Wilhelm von Osten. I cavalli sono veloci e resistenti. Il record appartiene a Baiardo, che portava contemporaneamente i quattro figli del duca Aimone al tempo di Carlo Magno. Il suo record, però, è contestato da Tom Mix, il cui cavallo Tony era una scheggia. Si sa che nel Far West, grazie ai pony express, agli indiani che cavalcavano a pelo e a Buffalo Bill, difficilmente i quadrupedi tiravano il freno. A contendersi il primato di velocità ci sono anche gli agili cavalli arabi e quelli delle steppe dell’Asia centrale. A proposito di cavalli da corsa, quelli che abitualmente si esibiscono negli ippodromi, lo sapevate che discendono tutti da tre progenitori di origine orientale? Uno era uno stallone arabo, il secondo era berbero e il terzo turco. Dal primo, che si chiamava Darley, è disceso il leggendario Eclipse, il cavallo prodigioso che nel XVIII secolo non subì una sola sconfitta nei suoi ventitré anni di carriera. Altro che Man o’ War, Seabiscuit, Nearco, Ribot e Varenne! Esistono anche i cavalli sanguinari. Erano quelli del tiranno Diomede e pare si cibassero di carne umana. Ercole fece una faticaccia per ucciderli. Esistono anche cavalli che rischiarono di diventare consoli, come Incitatus, che Caligola amava alla follia, e cavalli che ballano. Questi ultimi vivono solo in Andalusia e conoscono i passi di danza del flamenco. Ai cavalli si può rimproverare di non avere la parola. In realtà, come suggerisce un proverbio yiddish, se avessero qualcosa da dire imparerebbero a parlare. Ma cosa potrebbero dirci? Be’, i cavalli delle botticelle romane potrebbero dirci che sono stanchi di stramazzare al suolo per la fatica e gli stenti. I cavalli del Palio di Siena potrebbero dirci che non hanno voglia di rischiare la vita in piazza del Campo per divertirci. Quelli vecchi, malati e con le corde vocali tagliate che vengono utilizzati nella corrida, potrebbero chiederci di non essere incornati dai tori, ricuciti e rimandati nell’arena per poi agonizzare. I cavalli destinati all’high stepping potrebbero lamentarsi del fatto che per istruirli vengono picchiati con grandi bastoni di legno e torturati con congegni elettrici. Anche i cavalli dei circhi potrebbero supplicarci di non percuoterli sotto la mascella con un bastone o pungerli con uno spillo per fargli scuotere la testa e farli ridere. Per tacere delle frustate e dei colpi di cavezzone. Insomma, molti cavalli ci chiederebbero di smetterla di maltrattarli e sottoporli a crudeltà come i viaggi della morte su carri ferroviari piombati per migliaia di chilometri. Ah, non lo sapevate? Dopo avere viaggiato dalla Polonia, dall’Ungheria e dall’Ucraina fino in Italia in condizioni penose, i cavalli destinati a soddisfare il ventre della gente senza consapevolezza della sofferenza animale trovano la morte in orribili macelli. No, non illudiamoci che possano parlare. Se lo facessero, gli taglieremmo le corde vocali. Magari, però, capiscono il linguaggio umano. Come Ombromanto, che si faceva cavalcare solo da Gandalf. Se così fosse, avrebbero il diritto di fare i sordi. Oh oh cavallo! Oh oh cavallo! Per quanto tu sia un animale splendido, che a guardarti mentre corri libero e selvaggio su una spiaggia il cuore si allarga, rassegnati. Le persone come Sheila Marsh non sono rare. Ma non sono abbastanza per pareggiare il conto con i miserabili che abbandonano, seviziano e ammazzano i cavalli, convinti che tanto sono solo bestie senz’anima.
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