25 ottobre 2015 - un racconto della giornata tra scrittori "Il vizio di scrivere" - Biblioteca di Rescaldina (Mi)
pagina facebook: Il vizio di scrivere
(prossima giornata in gennaio, seguiteci!)
“Stare in famiglia.
Sentirsi parte di una famiglia. Stare soli in famiglia. La famiglia come spazio
in cui esprimere se stessi o in cui soffocare la propria individualità? Cos'è
un famiglia? Una squadra? O un terreno di competizione? Quanti tipi di famiglia
ci sono? Fratelli coltelli, parenti serpenti. Un fratello è uno su cui contare
sempre. I legami di sangue. Le affinità elettive. I parenti non si scelgono.
Gli amici sì.”
Marco aveva annotato su un foglio di protocollo il frutto
del suo personale brainstorming sul
tema che l'insegnante di lettere, dimostrando forse poca originalità, aveva proposto per il
compito in classe. Mentre fissava, in ordine sparso, i pensieri che
attraversavano la sua mente, seguiva il movimento sorprendentemente veloce
delle nuvole che sfilavano oltre la finestra dell'aula.
A sedici anni un tema così non è mica facile.
Quando, alle elementari, la maestra gli aveva chiesto di
parlare della famiglia, aveva scritto che la mamma era bella e preparava delle
torte buonissime, che il papà aveva gli occhiali e, quando tornava dal lavoro,
giocava un po' con lui a pallone e che Andrea, il suo fratellino, era un po'
monello.
La maestra, leggendolo, aveva sorriso; le piaceva l'immagine
di famiglia tradizionale, giovane e unita, che ne emergeva. Gli aveva dato un
bel voto e lui era tornato a casa felice, anche se difficilmente avrebbe
trovato una torta ad aspettarlo e se suo padre sarebbe tornato solo a tarda
sera, troppo stanco per giocare a pallone con lui.
La realtà, agli occhi di un bambino, ha quasi sempre dei
colori più accesi, e mai nessuna ombra.
Ma adesso, a sedici anni,
le ombre erano diventate nette, e disegnavano la realtà in bianco e
nero, fissandone impietosamente i contorni, mettendone in risalto i recessi più
nascosti e ritraendola nelle sue contraddizioni e nelle sue miserie.
Ora la mamma, per lui, era solo una donna di mezza età con
le rughe e la cellulite, e le sue torte, le rare volte che decideva di
prepararne una, erano immangiabili; il padre semplicemente un uomo troppo
impegnato per trovare il tempo di stare con lui, e Andrea, il fratello, solo
uno stronzetto.
A volte, chiuso nella sua parte di stanza con le cuffie a
far da barriera tra lui e il resto del mondo, pensava a come sarebbe stata la
sua vita se fosse cresciuto in un'altra famiglia, come quella del suo amico
Filippo, che, a sedici anni, era già stato in quattro diversi continenti, e
aveva una grande camera tutta per sé.
Lui, del mondo, aveva visto ancora pochissimo e la stanza
doveva dividerla con Andrea, che aveva due anni meno di lui ma non voleva certo
essere considerato un bamboccio, e si dava certe arie da uomo vissuto che
avrebbero fatto certamente sorridere Marco, se prima non l'avessero mandato in
bestia.
Del resto l'ironia non s'addice a chi, per aver vissuto
ancora troppo poco o troppo poco intensamente, è così impegnato a tenere a bada la propria
vita da non riuscire a osservarla con
distacco, sorridendone.
Cos'era, per lui, la famiglia? Mentre mordeva nervosamente
il tappino della bic, a Marco continuava a tornare alla mente la frase di “Lilo e Stitch”, un cartone animato che
aveva visto tante volte, da piccolo, insieme a suo fratello: “Ohana significa famiglia, e famiglia
vuol dire che nessuno viene abbandonato o dimenticato”. In fondo anche la sua
famiglia era, a modo suo, un'ohana.
Difficile spiegarlo senza essere costretto a parlare di sé,
della sensazione indefinibile di appartenenza che gli davano, nonostante tutto,
quei visi familiari e quelle pareti che a volte gli sembravano troppo strette
per contenere la sua voglia di crescere, ma che lo facevano sentire, comunque,
a casa.
Agli adolescenti non piace far intravedere agli altri le parti più nascoste
di sé, quelle che più di tutte sfuggono al loro controllo.
Che razza di argomento da proporre a ragazzi di terza liceo!
pensava, appoggiando la penna sul banco.
Decise che avrebbe consegnato il tema così com'era,
praticamente in bianco.
Questa volta l'insegnante di lettere non gli avrebbe messo
certamente un bel voto, ma a Marco andava bene così.
Decise che quella sera, per cena, la torta l'avrebbe preparata lui.
Magazine Cultura
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