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Da Rory

roroLa febbre mi caldeggia di inserire qui un mio vecchio racconto, spero vi piaccia.

Come ogni mattina, camminavo per strada, lungo la via che costeggia l’Accademia delle Belle Arti. E’ assurdo come io faccia da anni quasi sempre lo stesso percorso e non ricordi mai qual è il nome di quella via. Sono arrivata alla conclusione che probabilmente non lo saprò mai. Avevo le cuffie nelle orecchie. 1901 dei Phoenix. La ascolto e immediatamente mi si disegna nella mente un’immagine. E’ un poco sfocata, ha i capelli arruffati e scuri, il viso tondo. Sarà pure poco nitida ma io capisco subito di chi si tratta e sorrido spontaneamente. Un barbone mi guarda. Starà pensando “che cazzo avrà questa da ridere alle 7 e 30 del mattino, con questo freddo”.

It’s twenty seconds ’til the last call Calling hey, hey, hey, hey, hey, hey/Lie down, you know it’s easy Like we did it all the summer long

E’ vero, abbiamo fatto così per un po’ di tempo, D ed io. Ci siamo sentiti a telefono, per email. Ci siamo insultati pure. Da lontano, perché è così che siamo, lontani fisicamente ed esistenzialmente. Anche se lui mi dice sempre che ho un buon profumo e io ti rispondo che è merito appunto del profumo, non certo mio. Sospiro. Probabilmente la decisione di smettere di sentirci è giusta, saremmo comunque troppo distanti e destinati alla sofferenza, come due protagonisti di un romanzetto rosa dell’Ottocento. Ma qui il problema è che l’Ottocento è finito da un pezzo e nessuno di noi due ha la stoffa del protagonista di qualcosa, in realtà. La cosa triste è che avevo promess a me stessa di cambiare per lui, se le cose fossero andate nel verso giusto. Ma evidentemente, non era destino che io cambiassi. Infilo le mani in tasca, mentre guardo gli alberelli ammazzati dallo smog che costeggiano il marciapiede. E’ curioso come, nonostante tutto, le loro foglie abbiano il coraggio di ricrescere, verdi e forti, ogni anno. E’come se sapessero andare avanti.Mi piacerebbe avere lo stesso coraggio, anche se in questo momento mi sembra che le mie gambe si stiano spostando da sole.

It’s not a miracle we needed/ No, I wouldn’t let you think so

Arrivo al semaforo. Quel pazzo del mio prof di storia Medioevale diceva che questo semaforo, quello di Mezzocannone, è il centro preciso di Napoli. Non ho mai capito da cosa nascesse questa sua idea.
A me sembra il posto più pericoloso della città, visto quanto corrono le macchine ma tant’è. Ce la faccio anche questa mattina a superarlo indenne, per fortuna. E mi viene da sorridere e da pensare che magari, con un po’ di aiuto divino, riuscirò anche a venire a capo di questa situazione. Lo inconterò ancora, lo guarderò negli occhi e saremo felici. Anche per un solo istante.



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