Nella zona minima di giardino su cui si affaccia la finestra della mia stanza crescono oleandri rosa. Erano di altri colori, quando sono stati piantati, ma hanno deciso, crescendo che è meglio uniformarsi al gruppo. Sono ormai abbastanza alti da aver superato con il tronco la grondaia dei garages abusivi dei vicini, che nessun tribunale farà mai abbattere, e di anno in anno guadagnano centimetri: i fiori sono ormai all’altezza del io sguardo, quassù, al piano rialzato.
É una mattina iniziata presto, ma con molta calma: l’aria è umida delle piogge di ieri, il bucato non si asciuga e lo sto spostando dentro e fuori dal terrazzo, in funzione degli umori del cielo. Ieri è stata giornata di grandi pulizie, di quelle che iniziano in una zona e si allargano nelle altre richiamate dalla polvere, dagli sbaffi di sporco, dal cibo da cucinare perché la data di scadenza si avvicina o è magari stata superata, dal ferro da stiro, dall’inquietudine che mi assale quando vedo quante cose possiedo e quanto è difficile tenere pulite superficie occupate da oggetti. Il minimalismo ressite sulle posizioni raggiunte negli scorsi anni, ma non fa passi avanti. Oggi dovrebbero essere ore più contemplative: ho ancora alcune attività sulla lista che sto man mano spuntando, ma forse un’oretta per leggere la trovo. D’altronde, tra lunedì e venerdì adesso non ho proprio la possibilità di fare molto altro che non sia manutenzione minima ai luoghi in cui abito.
Il fine settimana scorso è stato parigino e spensierato: sabato si è perso tra passeggiate nei quartieri intorno a Les Halles, a scoprire i passages, nel negozio di spezie di Bruno a inventariare odori e cercare miscele da noi rare, e nel Marais, a far scorta di te e ad osservare la gente che ci si riversa ogni giorno, nel piccolo museo archeologico sotto Notre Dame a capire come è nata Parigi, nelle strade della Rive Gauche più a ovest, eleganti e silenziose: chilometri e chilometri a piedi, scoperte e ritrovamenti di quanto già noto. La sera si è conclusa davanti ad un cous cous di Hamadi, tra il caos di Paris Musique: in ogni angolo c’era qualcuno che suonava e le note di uno si confndevano con quelle di un altro, in una cacofonia allegra e inondata di birra e cocacola. Domenica la stanchezza e il caldo hanno avuto la meglio e i ritmi di avanzamento sono stati più lenti e meno frenetici, accompagnati dalla dolcezza delle creazioni di Philippe Conticini, che non deludono mai (ohhh, il gran cru alla vaniglia e il Paris-Brest…).
La settimana che arriverà sarà di nuovo intensa, in ufficio, tra le aspettative dei nuovi colleghi e il tentativo di mettere ordine nel caos della novità di un sistema da scoprire che sta mostrando le sue debolezze e le sue opportunità. Venerdi sera però, sole permettendo, Verona e la sua stagione estiva del teatro romano mi aspettano. Sarà l’Otello di Battiston e, se ci sarà il tempo, una mattonella gelato in centro. Un fine settimana casalingo lo posso accettare, uno iato per riprendere fiato e consegnare ai giorni che arrivano il mio mondo privato pulito.
L’oleandro montano è immobile nella quiete del mattino: forse anche lui sogna il mare.