Scientificamente il suo nome è Brassica napus ed è comunemente conosciuta con il nome di olio di colza, un olio vegetale estratto dai semi della colza, una pianta dal fiore giallo splendente coltivata sopratutto nei paesi dai climi nordici (Canada, Stati Uniti, Germania, Francia e Paesi Bassi – ndr) come foraggio vegetale animale o come biocombustibile diesel.
Sopratutto nelle regioni dell’India la colza viene coltivata nella maggior parte delle terre agricole e a causa del suo basso costo, viene impropriamente utilizzata nelle industrie che producono alimentari. Ma questo onnipresente olio color oro, che troviamo nella lista degli ingredienti dei croissant Bauli, nell’etichetta della gustosa Nutella, nei biscotti e nelle merendine che le mamme ingenuamente danno ai propri bambini, in realtà è dannosissimo per la salute: a confermarlo sono le tante ricerche effettuate da studiosi igienisti e salutisti, come Valdo Vaccaro, dottore nato a Mattuglie, laureato in Economia che ha dedicato la sua vita agli studi sull’alimentazione sana e sull’igiene naturale.
L’olio di colza infatti contiene delle quantità di acido erucico, acido oleico e acido linoleico che le aziende alimentari liquidano con la dicitura generalista “grassi vegetali”, i quali provocano nell’uomo gravi effetti sulla circolazione cardiovascolare ed effetti rischiosi sulla colesterolemia. L’olio di colza come anche l’olio di palma, diffusissimo nelle regioni di produzione, è così usato per via della sua economicità sul mercato, anche se il Belgio per esempio ne ha consigliato un uso molto limitato. I palmisti e gli olii di palma rossa vengono considerati meno pericolosi degli olii incolori e raffinati, in quanto contengono talune sostanze benefiche come: il beta-carotene, il co-enzima Q10, lo squalene, la vitamina A e la vitamina E. Basti pensare che anticamente l’olio di palma veniva adoperato per rimarginare le ferite della cute, poiché ne velocizzava la guarigione; tra questi anche l’olio di cocco si attesta che abbia proprietà organolettiche dagli effetti antimicrobici.
Gli studi confermano che l’olio di colza fa male, anzi malissimo: basti pensare che nel 1200 veniva sfruttato per l’illuminazione urbana per le strade del Nord Europa e successivamente venne usato per l’alimentazione, molto contestato anche allora in quanto l’olio di colza già veniva trattato per gasoli e carburanti; durante la Seconda Guerra Mondiale infatti veniva usato come diesel nei veicoli nautici. “Insegniamo alla gente a rendersi autonoma e responsabile, a fare libera scelta, a credere nelle proprie risorse e nella propria capacità auto-guaritiva. La educhiamo ad apprendere e ad applicare i principi fondamentali della vera conoscenza ippocratica” scrive Vaccaro, consigliando pertanto un’alimentazione crudista, basata sui frutti che la terra offre spontaneamente. Ma una domanda sorge spontanea: con l’inquinamento delle terre e delle falde acquifere e con gli anti-parassitari, cosa ci è rimasto di veramente “sano”? Con cosa dobbiamo cibarci per stare tranquilli? Non c’è risposta giusta a questo allarmismo generale.