L’olio di palma, coltivato per lo più in Malesia e Indonesia, mette in pericolo non solo la biodiversità (per la presenza di specie a forte rischio estinzione, come la tigre di Sumatra e l’orango tango), ma anche la biosfera.
L’Indonesia ospita un sistema di foreste di importanza cruciale per il Pianeta, con un valore ecologico paragonabile a quello che riveste l’Amazzonia. La vegetazione delle foreste tropicali e delle zone umide può immagazzinare tra un quinto e un terzo del carbonio contenuto nella biosfera, contrastando così l’emissione dei gas serra.
Chris Freeman, scienziato ambientale della University of Bangor, in Galles, ha docuementato in uno studio che grandi quantità di anidride carbonica sono rilasciate durante gli incendi avvistati nei luoghi di coltivazione.
Come racconta George Monbiot del Guardian, “prima che queste piante – piccole e scialbe – vengano piantate, enormi foreste, i cui ecosistemi contengono una quantità di carbonio molto più elevata, dovranno essere abbattute e bruciate. Avendo esaurito le terre più aride, le piantagioni si stanno trasferendo nelle foreste paludose, dove crescono nella torba. Una volta abbattuti gli alberi, i piantatori prosciugano il terreno. Nel momento in cui la torba si asciuga il terreno si ossida, rilasciando più una quantità di diossido di carbonio perfino maggiore di quella che rilasciano gli alberi. In termini di impatto ambientale locale e globale, il biodiesel delle palme è più distruttivo di quello da olio grezzo della Nigeria.