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Cari amici
è con enorme difficoltà che mi accingo a scrivere questo post. Ispirato dal post di ieri notte mi sono messo ad indagare più del solito.
L'esperimento Milgram porta immediatamente ad una riflessione coinvolgente la pagina nera del secolo scorso: l'Olocausto, un ragionato sterminio di molte vite umane, perpetrato da esseri umani che eseguivano degli ordini, con la coscienza a posto. Probabilmente non si è scritto mai abbastanza sulle responsabilità collettive di un simile evento storico. Ma ora voglio concentrarmi sull'esperienza quotidiana di una guardia di Auschwitz. L'esecutore materiale di simili atrocità delega la propria responsabilità ad altri ("E' giusto così, non può essere altrimenti, bla bla bla"). Ma è tutto qui? Non si tratta, come scrivevo nel post precedente, di una eccessiva attitudine a fare il male al prossimo? La violenza gratuita, fisica e psicologica, è solo un preliminare necessario, volto a spersonalizzare la vittima?
Non abbiamo la cultura e la mentalità del tempo per penetrare dentro a questo mistero. E più il tempo passa, più si tende a dimenticare. Io sono convinto che il Novecento, a livello puramente accademico, con l'avvento della psicoanalisi, è stato il primo secolo che ha preso coscienza del lato oscuro dell'uomo. Di genocidi, di violenze immani, su ampia e piccola scala, di sottili modi per disumanizzare le persone, la Storia è piena. Ma l'esperienza del Novecento ha in più il fatto di averlo riconosciuto. Ebbene questa ondata di consapevolezza si sta affievolendo. Quindi se vogliamo dare risposte a queste domande ora (e forse è già tardi) o mai più.
Io non sono d'accordo con chi ritiene che questo tipo di domande è meglio lasciarle dove stanno o che non hanno risposta. Indagare, chiarire, capire, può servire a impedire il ritorno di queste follie. Mi sono reso conto solo dopo averla scritta della fondamentale ipocrisia della frase precedente: in qualche luogo, in questo momento, sta certamente avvenendo qualcosa di innominabile per le nostre menti vincitrici e fiduciose nelle possibilità della ragione. E non escludo che non sia opera di un singolo quel che accade, ma di una approvata volontà generale.
Giungo alla parte difficile da scrivere. Io sono contrario a qualsiasi forma di revisionismo storico coinvolgente il nazismo: troppe volte si sbandiera il revisionismo storico come un'inversione totale o un occultamento della verità dei fatti. C'è chi scrive che troppe sono le esagerazioni uscite dal processo di Norimberga, le cose visibilmente impossibili, le incoerenze. E allora? Se invece che sei milioni di ebrei ne fossero stati uccisi la metà, la responsabilità storica ne verrebbe in qualche modo diminuita? Come quelli che sbandierano i morti di Stalin per far impallidire quelli di Hitler... Tenete conto che, per me, tutte le stime di questo tipo andrebbero aumentate almeno del 25%, perchè Dio solo sa, senza documentazione precisa, che cosa è accaduto laggiù.
Eppure c'è un fatto fastidioso. Molto fastidioso. Andando su internet (e senza ovviamente finire in siti apertamente revisionisti o, peggio, negazionisti) si ha la sensazione che non si possa scavare più di tanto sulla faccenda. La verità è una, la mia, perchè ho vinto. C'è una urtante tendenza a screditare sistematicamente chiunque abbia dato pareri leggermente discordanti o chi cerca di studiare più a fondo l'accaduto senza partire dall'assioma che alcune cose non si possono contraddire. Un conto è ascoltare un negazionista. Un conto è continuare ad indagare ciò che è successo.
Il link tra le due parti del post è questa: è come se la parte ragionevole, la nostra, che ha sconfitto il nazismo, abbia un bisogno smodato di demonizzare, per non ammettere che alcune istanze, alcune ombre e (in certi casi) alcune pratiche quotidiane (penso alla tortura in ambienti militari occidentalissimi) ci appartengono e sono parte di noi.
Intendiamoci. Il nazismo è una follia collettiva che, in quelle dimensioni e in quel modo, è unica nel suo genere e andava estirpata con tutta l'ideologia ignorante che lo muoveva. Ma, in un senso più ampio, sembra l'enfatizzazione, la realizzazione storica di un moto violento proprio dell'uomo. E' l'organizzazione di esso che deve fare paura, non l'esistenza del moto stesso. Ho la sensazione che qui si stia ignorando questo. E proprio QUI che risiede il pericolo di una riorganizzazione, nel continuare ad ignorare chi siamo e di cosa siamo capaci in peggio. Perciò sono contrario al revisionismo storico senza postulati, ma non alla possibilità di scavare ancora su ciò che è accaduto: non si tratta di deresponsabilizzare i colpevoli, si tratta di umanizzarli e ricavarne insegnamenti per il futuro.
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