Magazine Diario personale

Oltre la zona di comfort – Si viene e si va #7

Da Stefano @bersatweet
Oltre la zona di comfort – Si viene e si va #7

Per questa puntata, abbiamo deciso di fermarci in Canada, a Vancouver: conoscerete una ragazza che ha abbandonato la Città Eterna per scoprire un nuovo paese. E un'altra lei.

Sabrina, le pagine di Pensieri strani...eri ti accolgono, benvenuta!

Sono Sabrina, 27 anni, nata e cresciuta a Roma.
Ho una formazione umanistica classica con un particolare amore per i libri e per il raccontare storie (ho autopubblicato un romanzo e ne ho altri in bozza), per la fotografia e per la natura. Il tutto aggiunto a una passione per tutto ciò che è creativo e per i media digitali, che è poi diventata lavoro.

Durante il liceo ho anche scoperto un profondo amore per le culture straniere e in particolare per il Giappone: questo mi ha portato alla facoltà di Studi Orientali dove ho conseguito la laurea in lingue con focus su Lingua e Cultura Giapponese. Le materie di studio includevano letteratura e storia (giapponese, inglese, italiana), glottologia, lingua giapponese e inglese, filologia, arte orientale, e basi di cinese (anche se l'ho dimenticato, troppo difficile!). Argomenti che si sono rivelati estremamente interessanti e che mi hanno condotto verso realtà distanti, ma utili a comprendere meglio anche la nostra cultura. Inoltre, il Giappone per me ha un fascino che non si estingue e mi piacerebbe poterlo studiare ancora per raccontarne di più la cultura.

Dopo la laurea mi sono dedicata un po' all'insegnamento delle lingue e alla traduzione, ma ho trovato lavoro nel campo della comunicazione online (blog e social media), a cui mi ero rivolta negli anni solo come a un passatempo. Il mio primo vero lavoro è stato in una startup come Social Media Manager e da lì ho poi continuato nello stesso settore ma per una società più grande, fino a quando ho lasciato l'Italia nel settembre 2013 con un biglietto di sola andata per Vancouver, dove vivo attualmente con Alex, il mio partner, e Peter Parker, un cagnolone adottato due mesi fa.

Qual è stato il canale che ti ha aperto le porte del Canada?

Siamo emigrati perché in Italia non stavamo più bene (e forse non ci eravamo mai stati), e Roma, una delle città che fa brillare gli occhi di emozione agli stranieri, ci sembrava un posto dove non potevamo più vivere. Sia io che il mio compagno avevamo fatto pochi viaggi all'estero, quindi puoi immaginare quanto fossimo eccitati e nello stesso tempo spaventati all'idea di partire!

Siamo arrivati in Canada con il Working Holiday Visa, un visto lavorativo di soli sei mesi che si può ottenere tramite l'Ambasciata Canadese dall'Italia. È l'unico visto che si può ottenere sempre, senza necessariamente passare tramite uno sponsor. Il problema è che per gli italiani è di soli sei mesi (la maggior parte degli altri paesi ha il WHV di un anno) e non è rinnovabile, quindi alla scadenza si deve ottenere un nuovo tipo di visto.

Raccontaci un po' della tua esperienza sulla costa Ovest del Canada.

Il mio primo lavoro canadese è stato quello di Web Marketing Manager per una piccolissima web company a East Vancouver: sono stati sei mesi (cioè la durata del visto, come detto prima) molto utili per iniziare a interagire in inglese in ambiente lavorativo. Nel frattempo, lavoravo anche come volontaria un paio di volte la settimana per una charity fondata dal Dalai Lama. Poi, dopo uno stop forzato di due mesi dovuto al rinnovo del visto, ho iniziato a cercare di nuovo lavoro, ma per un po' non ho avuto particolare fortuna, per cui ho continuato a dedicarmi al volontariato e ho organizzato un evento animalista per una charity statunitense.

In quel periodo ho speso molte energie per conoscere il mondo del lavoro canadese, dedicandomi alla ricerca di eventi di networking: sono così venuta in contatto con persone di una gentilezza squisita (e disinteressata), che si sono prese del tempo per aiutarmi a migliorare il resume (il CV nord americano) e la cover letter (importantissima quando si risponde a un annuncio di lavoro). Addirittura, una volta una ragazza conosciuta tramite Linkedin mi ha fatto fare il giro degli uffici di una grande azienda nord-americana per farmi vedere le diverse funzioni e per farmi conoscere un po' di persone che mi hanno raccontato della loro esperienza lavorativa.

Un giorno di luglio, ho trovato un annuncio in un negozio per un ruolo da Sales Assistant per un famoso brand canadese: ho deciso di provare, sebbene non avessi mai fatto quel tipo di lavoro e non sapessi se fosse adatto a me. Dopo ben tre colloqui, sono stata assunta e sono rimasta con loro per più di sette mesi. Anche questa esperienza si è rivelata utilissima, specialmente perché ho iniziato in estate quando c'era il boom di turisti: parlare tutti i giorni con persone da tutto il mondo mi ha permesso sia di migliorare la lingua a livelli altissimi, sia di farmi scoprire un lato estroverso di me che non conoscevo. Ho così aggiunto al mio resume l'esperienza di customer service, estremamente importante per chi vuole lavorare nel marketing e nel business management.

Da marzo di quest'anno ho un nuovo lavoro di cui, lo dico, sono molto orgogliosa, perché l'ho ottenuto dopo tanto tempo passato a mandare resume e a cercare di migliorarmi (professionalmente, linguisticamente e mentalmente). Non mi sono arresa (questa è un'importante lezione canadese, mai arrendersi!) e alla fine ho avuto successo, entrando in una fin-tech startup situata a Gastown, il quartiere "più antico" di Vancouver.

La CEO è una persona alla mano che ha dimostrato da subito tanta fiducia in me: è stata proprio lei ad assumermi, sia per la mia esperienza variegata, sia perché sono stata l'unica ad averle mandato una cover letter in cui rispondevo dettagliatamente a tutto quello che lei aveva chiesto nell'annuncio di lavoro.

Il mio ruolo è quello di Operations Manager: le mie funzioni attuali riassumono quelle di una office manager (organizzare il team, preparare le buste paga, coordinare spese e budget) e di una marketing assistant (faccio ricerche per nuovi articoli, pubblico sul blog aziendale, contatto i clienti e altre startup). Sono molto soddisfatta, perché rivesto un ruolo importante che richiede organizzazione e metodo ma che non mi costringe a un'unica mansione (ad esempio, lavorare solo come social media manager si era rivelato estremamente noioso e frustrante).
Inoltre, lavorare in una startup non è per tutti: l'ambiente è estremamente dinamico, bisogna essere pronti a mettersi in gioco, avere spirito di iniziativa, avere una mente aperta e sveglia ed essere capaci di apprendere in poco tempo.

Quali sono state le difficoltà di ambientamento, se ci sono state?

La difficoltà maggiore è stata sicuramente la lingua.

Ritrovarsi improvvisamente in un paese in cui si parla una lingua che non è quella con cui si è cresciuti, implica un impegno notevole, a cui non si è abituati, per comprendere le conversazioni e pensare alle risposte!

I primi tempi ero terribilmente impacciata e mi sentivo stupida perché, mentre in italiano ero abituata a parlare "a manetta", come si dice a Roma, lì non riuscivo a dare risposte immediate. Io avevo studiato inglese solo a scuola (e in Italia purtroppo non lo insegnano bene) e ho poi cercato di migliorarlo da sola, guardando film e serie tv in lingua originale (cosa che mi ha molto aiutato).

All'inizio mi capitava addirittura di aver male alla bocca, perché dovevo sforzarmi nella pronuncia inglese che non mi usciva naturale. Il mio compagno ed io abbiamo così deciso di parlare solo in inglese anche a casa (adesso ogni tanto parliamo italiano tra noi); è stato poi fondamentale fare amicizia con persone straniere, evitando di fare gruppo con gli altri italiani, proprio per non cadere nella tentazione di parlare sempre la nostra lingua. Dopo il primo anno, comunque, posso dire che le difficoltà più impegnative sono state superate.

C'è qualche aneddoto particolare che dimostri la differenza con l'Italia?

Ci sono vari episodi "emblematici" che mi hanno fatto pensare "non sono più in Italia": dal customer service americano in cui tutti chiedono come stai (compresi gli autisti del bus!) alla gentilezza inaspettata di tante persone, tra cui la nostra prima padrona di casa che ci ha invitati a casa sua con tutta la famiglia in occasione del Family Day e della vigilia di Natale.

Altri episodi che mi sono rimasti impressi riguardano il quartiere residenziale di East Vancouver, tutto casette e giardini, dove abbiamo vissuto all'inizio. Mi è capitato varie volte di vedere case con le porte aperte o con solo la porta a zanzariera chiusa, i giardini pieni di cose lasciate incustodite, tra cui il barbecue, biciclette e giocattoli, e addirittura ho visto persone entrare direttamente dalle porte a vetri dei giardini o prendere le chiavi nascoste sotto il vaso davanti alla porta! Immagini da film che descrivono un clima di rilassatezza unico.

Mi piace anche ricordare un episodio più personale che riguarda il nostro primo incontro con T. che è oggi, insieme alla moglie, uno dei nostri migliori amici qui. Era il secondo giorno dal nostro arrivo in Canada, eravamo totalmente spaesati e dovevamo prendere l'autobus ma non sapevamo dove comprare i biglietti. Io mi avvicino a quest'uomo in giacca e cravatta alla fermata del bus per chiedere informazioni e lui con un sorriso mi regala i biglietti, dicendo che se fossimo andati a comprarli avremmo perso il bus che stava arrivando. Una volta saliti, abbiamo parlato un po' e ci siamo scambiati i numeri di telefono. Francamente pensavo che non lo avremmo più rivisto. Invece il giorno dopo ci chiama e ci porta in giro per Vancouver con la sua auto, per farci conoscere la città. Da allora non ha smesso di aiutarci.

Abbiamo conosciuto tante altre persone e ovviamente non siamo stati sempre così fortunati, ma in generale sono stati tutti cordiali, gentili e pronti a mettere a proprio agio: ormai ci piace andare a feste dove non conosciamo nessuno perché capita sempre di fare qualche nuova amicizia.

Dai tuoi racconti, ho come l'impressione che l'Italia non ti manchi per nulla...

Sono sincera, l'unica cosa che mi manca dell'Italia, a parte i miei genitori e il mio cagnolino, è il parlare italiano.

Quando siamo partiti avevo paura che non avrei vissuto bene all'estero e che saremmo dovuti tornare con il peso del fallimento. Sarebbe stato brutto perché abbiamo deciso di andare via proprio per trovare un posto migliore dove vivere.

Ci sono tanti aspetti del nostro paese che non accettiamo nè condividiamo. Ci siamo sentiti per tanto tempo insoddisfatti e "stranieri" in Italia, stanchi di dover accettare che "le cose stanno così e basta", bloccati nelle disfunzioni della nostra città, in cui (quasi) tutti sono arrabbiati e disillusi.

A Vancouver forse mancheranno gli anni di storia e i monumenti antichi, ma ho trovato una città che convive con la natura, in cui l'aria sembra più pulita, dove le persone vengono (quasi sempre) da qualche altra parte del mondo (o del Canada) e hanno voglia di raccontare la propria storia, e sono stata sorpresa da una cordialità e da un livello professionale che in Italia nemmeno sognavo.

Di sicuro, ci troviamo meglio a Vancouver che a Roma, anche se molti si lamentano di quanto sia costosa: ma se da una parte questo è vero, paragonata ad altre parti del Canada, dall'altra è innegabile che ci siano migliori stipendi. Qui ci siamo realizzati in un anno e mezzo e abbiamo davvero iniziato la nostra vita da "adulti", cosa che in Italia accade troppo tardi. Per fare un esempio concreto, qui possiamo permetterci un appartamento in centro (ne stiamo proprio ora cercando uno più grande in una zona più tranquilla) e abbiamo adottato un cane, mentre a Roma dovevamo vivere con i nostri genitori, non potendo sostenere le spese del vivere da soli.

Ora hai gli occhi da espatriata: come vedi l'Italia?

Mi piacerebbe moltissimo vederla come la vedono gli stranieri. Quando lavoravo al negozio avevo occasione di parlare con turisti da tutto il mondo e, ogni volta che scoprivano che sono italiana e addirittura di Roma, spalancavano gli occhi e mi chiedevano perché mai vivessi in Canada. Per loro l'Italia è un paese meraviglioso, come quello dipinto nei film classici degli anni '60, e mi dispiace sinceramente pensare a come sono ridotti il nostro Paese e la mia città.

L'Italia ormai infonde in me solo malinconia: una terra bella e dalle potenzialità così alte, rovinata da chi dovrebbe proteggerla e nutrirla. Vedo Roma come una città antica schiacciata dal peso delle macchine e da persone ignoranti che vogliono fare i padroni su tutto e tutti, mentre il resto della popolazione è stanco e arrabbiato.

Lo so che ci sono anche tante persone buone e volenterose in Italia. Le ho conosciute soprattutto nell'ultimo anno prima di partire, nell'ambiente delle startup: donne e uomini che stavano dando vita alle proprie società o che lavoravano a progetti per migliorare il paese. Purtroppo so anche che molti di loro oggi sono all'estero: vivere in Italia, alla lunga, toglie la forza di provarci e alla fine ci si ritrova ad alzare le spalle e a dire "tanto funziona così, non si può fare niente".

La tua delusione mi fa pensare che nel tuo futuro tu veda ancora estero, giusto?

In Italia non torneremo sicuramente. Il nostro progetto (prima e ora) è di stabilirci in Canada in modo definitivo, per cui siamo in attesa della Permanent Residency e poi aspetteremo di poter applicare per la cittadinanza.

Non so se in futuro ci trasferiremo in qualche altra città del Canada (o del mondo!), ma Vancouver è così bella che adesso mi vedo a vivere solo qui, anche se purtroppo le case sono molte costose per cui non credo potremo mai comprarne una.

La tua esperienza è stata particolare: dagli studi orientali al marketing e business management. La tua scelta universitaria non ha avuto seguito...

Infatti, a proposito dell'università, non mi sento di dare consigli! Dopo il liceo, io ho scelto abbastanza inconsciamente, buttandomi su ciò che all'epoca adoravo: tuttora il Giappone mi piace ma, se potessi tornare indietro, forse sceglierei qualcosa di più pratico, legato appunto al business management e al corporate communications, possibilmente in inglese, così da poter sfruttare gli studi in tutto il mondo.

Diciamo che per me l'università resta quel mondo a parte dove ci si può dedicare allo studio fine a se stesso, utile soprattutto a livello umano e culturale. Se potessi, tornerei subito a studiare: le università qui nel Nord America sono meravigliose!

Per il lavoro ritengo più importante mettersi in moto mentre si è ancora all'università, facendo stage o lavori in cui si può iniziare senza esperienza, così da costruire in modo intelligente il curriculum, puntando sulle esperienze fatte ed evidenziando quello che si è studiato in relazione al lavoro che si cerca, senza dare troppo peso all'università in sé. Questa è una cosa che ho imparato in Canada e di cui in Italia nessuno mi aveva parlato. Probabilmente, se lo avessi saputo prima, mi sarei risparmiata tanta fatica dopo l'università per trovare un lavoro.

Oggi, puoi affermare con certezza che bisogna fare un'esperienza all'estero. Qual è il momento giusto per farla?

Vivere all'estero, non importa in quale parte del mondo, dovrebbe essere un'esperienza obbligatoria per qualsiasi persona, perché conoscere come si vive fuori dal paese di origine è altamente educativo.

Per gli italiani, consiglierei di prendersi un anno sabbatico dopo l'università (se si è in corso, a 22 anni si è finita la triennale) e di andare a vivere in un paese estero, o almeno di viaggiare molto.

Trovo che sia un momento perfetto, perché si è ancora molto giovani ma non troppo, e si può imparare molto da altre culture. Soprattutto, si tocca con mano che le cose funzionano bene in altri paesi e quindi si può tornare in Italia con una mente critica, volta al miglioramento dello status quo. Inoltre, è un momento di transito in cui ancora non si hanno troppe responsabilità e si può partire senza troppi ostacoli.

In generale, consiglio a chiunque di vivere all'estero, a qualunque età. Se potete, andate! Non è necessario imbarcarsi per il Canada o l'Australia, che sono paesi lontani e per cui serve il visto (anzi, la maggior parte delle volte li sconsiglio), ma si può sicuramente sfruttare la fortuna che abbiamo di poter viaggiare in tutta Europa senza limitazioni e con voli brevi ed economici.
Mi dispiace molto di non aver viaggiato di più in Europa quando abitavo in Italia, perché ora è ovviamente più difficile (e costoso!) dal Canada.

Mi rendo conto che quando vivevo in Italia ero una me diversa, introversa, bloccata nella mia "comfort zone" e poco propensa all'avventura.

Se potessi vedermi con gli occhi di allora, sono sicura che non mi riconoscerei! Anche a questo serve vivere da soli all'estero: per scoprire davvero se stessi e imparare ad agire veloci senza farsi frenare dalla paura del cambiamento.

Il sito di Sabrina - Miso Journal - www.sabrinamiso.com

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