Questa storia prende ispirazione da decine e decine di storie che accadono in Africa quando nasce un nobody, un bambino albino.
Adimu è nata da genitori neri ma ha la pelle bianca, per questo la madre e il padre l’hanno rifiutata, lasciandola crescere con la nonna.
L’albinismo in quei villaggi (siamo in Tanzania) è sinonimo di sfortuna: Adimu sfiora la morte fin da quando esce dal ventre materno perché appena la vedono pensano subito ad ammazzarla, ad abbandonarla in mezzo alla savana e a non pensarci più. La cosa che mi ha colpito è che l’Africa tribale teme gli albini ma, al tempo stesso, ricerca parti dei loro corpi da usare come amuleti: un ciuffo di capelli per rendere prolifica la pesca, un braccio per portare a termine un sortilegio, cose così.
Cristiano Gentili ha lavorato in vari paesi del terzo mondo come operatore umanitario e ha raccolto esperienze e racconti che ha oi riportato in questo romanzo.
Nonostante alcune ingenuità sulla caratterizzazione di un paio di personaggi, la vicenda è avventurosa e i fatti sono ben correlati tra loro da relazioni di causa ed effetto: questa storia la vedrei molto bene trasposta in un film!
La scrittura è ricca di metafore ben contestualizzate che regalano colore, e ci sono molti dettagli significativi. Ad esempio, mi piace che Nkamba, la nonna analfabeta di Adimu, incida, ricopiandolo a fatica, il numero di telefono di una comunità protetta sulla parete della capanna, perché non ha carta! E mi piace che porti giornali stracciati alla nipote per farla leggere, perché non ha libri! Sono questi dettagli che mostrano la deprivazione materiale e culturale.
E poi tutta la rete di personaggi e storie minori sono tutti funzionali alla storia principale. Quando i cacciatori di teste vanno a scavare una fossa in cui giace un albino (presto, prima che si smaterializzi!), trovano cemento: è uno dei modi in cui i familiari impediscano che venga fatto scempio del cadavere. Un altro modo è seppellire il parente sotto il letto in cui dormono.
Queste e altre vicende ben rendono l’atmosfera di superstizione che ruota attorno alle persone come Adimu, minacciate da vive e da morte, dai propri simili e dai raggi del sole, dalla solitudine e dall’ignoranza.
Da noi se un bambino fa i capricci gli si dice “Attento che ti faccio portar via dall’uomo nero!”
In Africa, invece, è l’uomo con la pelle bianca a far paura.
E la paura, si sa, rende gli uomini pericolosi.