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omelie della domenica 1: la croce era indispensabile?

Creato il 24 aprile 2011 da Luci

Se l’Evangelo omettesse ogni menzione della risurrezione del Cristo, la fede mi  sarebbe più facile. La croce da sola mi basta. Per me la prova, la cosa veramente miracolosa, è la perfetta bellezza dei racconti della Passione, insieme ad alcune parole folgoranti di Isaia: ‘Ingiuriato, maltrattato, non aprì la sua bocca’, e di san Paolo: ‘Non ha considerato l’uguaglianza con Dio come un bottino… Egli si è svuotato… Si è fatto obbediente sino alla morte di croce’, ‘E’ stato fatto  maledizione’. E’ questo che mi costringe a credere”
Simone Weil

prendo a prestito questo passo di Simone Weil per partire dal giorno di Pasqua e arrivare, a ritroso, al venerdì. anzi, al giovedì precedente.

faccio un ulteriore passo indietro, all’evento che da molti è considerato un parallelo: alla resurrezione di Lazzaro.

nel vangelo di giovanni, quando gli apostoli dicono a gesù che lazzaro sta male e sta per morire, ottengono una risposta terribile:

“Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato”.

in effetti, quando gesù viene a conoscenza della incipiente morte di lazzaro non parte subito per andare a salutare l’amico, ma rimane due giorni nel luogo dove si trovava e poi decide di  partire. consapevole che sarebbe arrivatato tardi.

“Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate”, dice ai discepoli.

quando arriva, infatti, viene rimproverato da marta, la sorella. “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”.

e gesù va a resuscitare lazzaro, “Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui”.

l’episodio di lazzaro apre in un certo senso le porte agli eventi successivi: alcuni dei presenti vanno al sinedrio impauriti e caifa inizia a cercare di persuadere gli altri della necessità di uccidere gesù.

allo stesso modo di lazzaro, che viene “lasciato morire” affinchè poi, resuscitandolo, gli altri possano credere, anche gesù sembra avviato a una fine non molto diversa.

il giovedì, dopo aver celebrato la pasqua con i suoi amici, gesù chiede al padre di allontanare da lui il calice della sofferenza, ma, nello stesso tempo, si rimette alla sua volontà.

e adesso posso tornare al passo di simone weil.

io lo vivo da sempre in modo speculare e contrario. perfino quando ero credente.

la passione e la morte di cristo, avvenuta in quel modo orribile, con la carne piagata dalla frusta, dalle spine e dai chiodi, la sofferenza sua, di sua madre e dei suoi più  cari amici, non verrà mai, ai miei occhi, cancellata da nessuna resurrezione, in nessun modo verrà mai ripagato gesù di quello che ha  sentito quando i chiodi gli trapassavano la carne e le ossa e in nessun modo saranno ricompensate le lacrime disperate di maria ai piedi della croce.

la protesta mite di marta, al “maestro” giunto troppo tardi, è sacrosanta.

“se tu fossi stato qui non sarebbe morto”.

la protesta mite, di gesù, al “padre suo” è inascoltata, perchè per lui, il padre suo, ha altri progetti, di gloria eterna.

affinchè tutti credano, tutti siano redenti, c’è bisogno di un sacrificio.

di un nuovo isacco, che non viene però liberato all’ultimo secondo da un angelo che ferma la mano di un padre, un altro padre, stavolta dell’antico testamento, che pensa di poter decidere della vita e della morte di suo figlio, esattamente come dio pensa di poter fare con quella di gesù.

questi padri padroni, capaci di salire su un monte, fare una strada lunga e di chiacchierare per tutto il tragitto con colui al quale hanno dato la vita, per poi legarlo come un capretto e accingersi a sgozzarlo in nome di una allenanza con dio.

no. non è questo un dio di amore. non è colui che chiede a abramo di sacrificare isacco, non è colui che aspetta due giorni prima di andare a trovare un amico morente, non è colui che manda al supplizio un uomo, per una eternità di cui non sappiamo nulla, della quale non possiamo sapere nulla, pena, ci dicono, la perdita del libero arbitrio.

quale libero arbitrio può mai esserci in balia di una  religione che sacrifica un uomo sulla croce “affinchè possa resuscitare”, o fa morire un fratello “affichè voi crediate” o fa legare un ragazzino a un altare sacrificale per capire se abramo davvero obbediva a dio?

non è qui il libero arbitrio, non è in questi gesti tremendi, terribili e disumani.

il libero arbitrio è nella forza di decidere autonomamente il proprio destino senza pensare a future eternità fatte di inferno e paradiso, il libero arbitrio, se questa è la terra sulla quale va esercitato è quello della ribellione a un destino di morte e di sofferenza. il libero arbitrio fa a meno del paradiso.


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