Magazine Attualità

Oncologa precaria: ‘La mia precarietà danneggia anche il paziente’

Creato il 09 maggio 2013 da Cassintegrati @cassintegrati

Vincenza è un medico oncologo, trentenne, precaria. “Quando c’è una patologia oncologica diventi tu il punto di riferimento per la persona malata e per tutta la sua famiglia. E nel momento in cui il contratto scade, il paziente perde un punto di riferimento fondamentale”. Michela Giachetta, autrice del libro ‘Assalto al cielo’, l’ha intervistata per L’isola dei cassintegrati.

medici_precari

Il passato di Vincenza ha l’odore dei libri, di un villaggio turistico, di un ospedale romano e di treni presi per studiare, lavorare e riabbracciare ogni tanto la propria famiglia. Il presente ha il sapore della rabbia. Il futuro potrebbe avere i colori di Malta e il gusto acre di una scelta difficile. Vincenza è un medico oncologo, precaria. Calabrese, 35 anni, si è laureata a Roma, ha lavorato come specializzanda all’ospedale Pertini, nella Capitale, sia in reparto, sia nel day hospital. “Con i tagli e la mancanza di personale mi capitava di gestire il reparto anche da sola“.

Nel 2012 la specializzazione termina, il lavoro in quel nosocomio pure. “Ho iniziato a darmi da fare, cercando un impiego dappertutto, prima puntando solo su Roma e provincia, visto che lì avevo casa, un fidanzato, tutta la mia vita”. Ma nella Capitale il lavoro non si trova. “Venni chiamata da una Asl, per un’assistenza domiciliare estiva, ma fui costretta a rifiutare, perché nel frattempo avevo accettato un impiego al Sud, in un villaggio turistico a Isola Capo Rizzuto. L’offerta di lavoro prevedeva 450 euro alla settimana, vitto e alloggio, per il periodo estivo”. A luglio 2012 scende al Sud, scopre che l’alloggio è una sorta di magazzino, che fungeva anche da ambulatorio. I due spazi erano divisi da una parete di cartongesso. Niente doccia, per lavarsi doveva andare a casa del proprietario del villaggio. C’erano orari prestabiliti per le visite, ma visto che l’ambulatorio era casa sua, la luce era sempre accesa e arrivano persone a tutte le ore. Resiste tre settimane, gliene pagheranno solo due. Senza aver mai firmato alcun contratto. Continua la sua ricerca di lavoro, in tutta Italia. Viene a sapere che in un ospedale convenzionato di Monza cercano un medico, per una sostituzione di maternità, contratto di 8 mesi. Accetta e parte. Il lavoro inizia lo scorso ottobre. Oggi è ancora lì, con un contratto in scadenza.

Sulla carta è una libera professionista, ma nella pratica è dipendente a tutti gli effetti. Obblighi di entrata e di uscita, cartellino da timbrare, giorni di malattia da certificare. “Zero diritti e tutti i doveri”, racconta. Ad aprile chiede spiegazioni in amministrazione per un problema burocratico, legato al conteggio di determinati giorni. “Il primario mi si è scagliato contro per aver tirato in ballo l’amministrazione. Una scenata incredibile”. Intanto, non senza problemi, prosegue la sua attività nell’ospedale. Visita i pazienti, prescrive cure. “La precarietà danneggia anche il paziente. Quando c’è una patologia oncologica diventi tu il punto di riferimento per la persona malata e per tutta la sua famiglia. Nel momento in cui il contratto scade, il paziente perde un punto di riferimento fondamentale”. Parla di “empatia”, della necessità di creare un rapporto di fiducia. “Il lato umano fa parte della cura, così come la speranza che tu medico gli puoi dare. In te vedono la scienza. Per questo le capacità comunicative sono importanti come quelle scientifiche”. Ma se il contratto è in scadenza, anche il rapporto medico- paziente lo è. La doppia faccia – negativa – della precarietà: il malato non ha la certezza di avere sempre lo stesso punto di riferimento e il medico è costretto a subire torti, pressioni.

Oggi Vincenza è davanti a un nuovo bivio. A fine maggio scadrà il suo contratto, l’ospedale gli aveva proposto il rinnovo, alle stesse condizioni. Ma lei ha risposto “No, grazie”. “Quando vieni trattato come uno schiavo rischi anche di perdere di vista la tua professionalità, le competenze acquisite“. Per questo non resterà a Monza. “Avrei voluto progettare una famiglia, dei figli, ho seguito fino a oggi la passione per il mio lavoro, di dare un senso ai miei studi, mettendo in secondo piano tutto il resto, lasciando il mio fidanzato a Roma, gli amici, quello che mi era costruita, per poter fare il medico nel campo che avevo scelto, nel settore per cui ho studiato anni. Ma lavorare a queste condizioni, con questa precarietà continua, non ha senso”. Racconta di quanto pesa nella scelta presa il suo stesso mestiere: “Lavoro in un laboratorio in cui il concetto di vita è labile, ogni giorno che ti  è dato è un giorno in più, che va vissuto a pieno, questo respiro tutti i giorni”.

Probabilmente ci sarà l’estero nel futuro di Vincenza. “Sono andata qualche giorno a Malta, per vedere come funziona il settore ospedaliero. Ho scritto al Consiglio dei medici. Mi hanno detto che servono tre mesi di praticantato e la conoscenza del maltese, oltre che dell’inglese. La vedo come un’isola felice, rispetto all’Italia”. Mancano pochi giorni alla scadenza del contratto. Sta già preparando il trasloco. Intanto verso Roma. Poi, incastri di vita permettendo, la tappa successiva sarà Malta.

di Michela Giachetta | @mgiachetta

Oncologa precaria: ‘La mia precarietà danneggia anche il paziente’


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :