Onde gravitazionali, forse ci siamo

Creato il 17 marzo 2014 da Media Inaf

Sono ore di fermento e di attesa, queste, nella comunità scientifica internazionale. Quale sarà mai la major discovery – la grande scoperta – che la Harvard University annuncerà al mondo alle cinque ora italiana di oggi pomeriggio, lunedì 17 marzo? Il comunicato stampa non lo dice, ma le voci in rete si fanno sempre più insistenti, e sono tutte unanimi nell’evocare il sacro Graal della cosmologia: le onde gravitazionali.

Il ricordo corre subito al giorno dell’annuncio della scoperta del bosone di Higgs. E il parallelismo è inevitabile. Oltre alla suspense costruita ad arte attorno a un annuncio internazionale da parte di un’istituzione leggendaria (il Cern allora, Harvard oggi), l’esistenza delle onde gravitazionali, come quella del bosone, è richiesta a gran voce dalla teoria – e che teoria: se per il bosone era Higgs, qui parliamo niente meno che di Einstein. Ma fino a oggi non hanno mai risposto all’appello. Perché mai dovrebbero farlo proprio ora? E in che modo?

In attesa di scoprirlo, o di essere colti in contropiede o peggio di rimanere delusi (e non sarebbe la prima volta, viste le major discoveries annunciate dalla Nasa negli ultimi anni che di major avevano soprattutto il battage pubblicitario), proviamo a seguire le tracce disseminate in rete in questi giorni. Una tra le prime soffiate – forse la prima – è giunta venerdì scorso, il 14 marzo, con un post sul blog parigino Résonaances. L’autore mostra il grafico del range di valori possibili, stando ai dati di Planck e WMAP, per i parametri dell’inflazione primordiale e avverte: “guardatelo bene, perché da lunedì non sarà più lo stesso”. A scombinare le carte, prosegue il post, saranno i dati raccolti da BICEP 2. E chi sarebbe questo BICEP che offre anche il titolo al post, “Flettendo i bicipiti”? A guardare Wikipedia scopriamo che BICEP 2, seconda generazione dell’esperimento Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization, è un telescopio americano operativo in Antartide sensibile alla polarizzazione della radiazione cosmica di fondo a microonde (CMB), in particolare nelle bande 100 e 150 GHz. E già questo è un indizio notevole, perché è proprio nella polarizzazione della radiazione fossile che i cosmologi da anni cercano invano i cosiddetti “modi B” primordiali: l’impronta debole ma inequivocabile delle impetuose onde gravitazionali – un vero tsunami nell’oceano dello spazio-tempo – che stando alla teoria si sarebbero dovute sollevare a seguito dell’inflazione, ovvero l’episodio d’espansione vertiginosa che si vorrebbe avvenuta appena 10 elevato alla meno 35 secondi dopo il big bang.

Sempre da Wikipedia emerge poi anche un altro indizio: dopo quasi due anni di calma piatta, la sera del 13 marzo d’improvviso sulla pagina dedicata a BICEP prende il via un’attiva frenetica, dovuta soprattutto al contributor Mike Peel, che porta a una dozzina d’aggiornamenti nell’arco di poche ore. Per non parlare di Twitter, dove gli hashtag #bicep e #primordial #gravitational #waves già venerdì non lasciavano dubbi su quale sarebbe stato il trending topic scientifico del fine settimana. E puntuale l’anticipazione è atterrata anche sulle pagine dei quotidiani, primo fra tutti il Guardian venerdì scorso.

Insomma, nella sempre più improbabile ipotesi che l’annuncio non riguardi la rilevazione dei “modi B“ primordiali, la delusione sarebbe vasta. E se invece andrà tutto come atteso? «Sarà una scoperta super importante», dice Sara Ricciardi, cosmologa della collaborazione Planck e ricercatrice all’INAF-IASF Bologna. «Possiamo misurare due tipi di perturbazioni: quelle dell’inflazione stessa, che si traducono in perturbazioni di densità, e quelle del campo gravitazionale. La CMB è un tracciatore perfetto di queste perturbazioni. Mentre le perturbazioni scalari lasciano un’impronta distintiva sia sullo spettro di temperatura che di polarizzazione (i cosiddetti “modi E”), le perturbazioni primordiali del campo gravitazionale determinano unicamente la forma dei “modi B” di polarizzazione. Una misura del genere è dunque doppiamente fondamentale: non solo mostrerebbe che le onde gravitazionali esistono, ma offrirebbe anche gli strumenti per misurarne l’ampiezza. Per questo siamo tutti in attesa spasmodica di ciò che diranno a Harvard. E pronti a fare le pulci ai dati immediatamente dopo, come una scoperta così straordinaria ovviamente merita».

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina


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