Only the pazzi: Run 5.30 e We Own The Night 2014

Da Lazitellaacida
Ci vuole del bel coraggio per andare a correre alle 5.30 di mattina in un giorno feriale. Spiegarlo alle persone che mi circondano, da mia madre ai miei colleghi, dal fidanzato ai compagni di palestra è sempre un po’ difficile perché, anche se loro non se lo immaginano, io glielo vedo quello sguardo da “ma tu hai qualche problema”. E tu vaglielo a spiegare che trovo molto più normale alzarmi alle 4.30 per andare a correre che abbandonare il divano all’una di notte per uscire a bere un inutile drink sui navigli. Non trovo strano alzarmi prima dell’alba per correre nel mezzo del centro storico di Milano deserto e anzi, trovo sinceramente ottuso chi non capisce quanto sia liberatorio e soddisfacente un esperienza del genere. Correre alle 5.30 di mattina (di un giorno feriale, è bene sottolinearlo perché a farlo di sabato o di domenica son capaci tutti) è una di quelle cose che gli americani metterebbero nella “bucket list”: l’elenco delle cose da fare prima di morire. Come posso spiegare una mattinata così elettrizzante, così euforica: un gruppo di persone che fino a 3 mesi fa manco si conosceva e adesso si ritrova alle 5 di mattina davanti ai Giardini di Palestro a ridere e a prendersi per il culo l’un l’altro perché “oh io dopo ho una riunione” “non sono mai stata in centro a quest’ora struccata” “ma che cazzo stiamo facendo” “quello là ha fatto il dritto”. Facce da cityrunners: Francesca, Gaetano, Tania, io, Giulia, Daniela, Rossana e Mirko Per chi corre da un po’ fare 5 km è abbastanza agevole: direi che è quasi una distanza che si riesce a completare senza nemmeno attivare i dolori da infortuni che tutti, e dico tutti, noi cityrunners stiamo sperimentando. La mia home di Facebook ormai è un proliferare di aggiornamenti da ortopedia insieme agli immancabili Runtastic e Runkeeper: c’è chi corre alla mattina (tipo Giulia l’Highlander), chi corre la sera come Mirko, chi sale centinaia di scale come quel folle di Cristiano e c’è chi corre come me che giro intorno ad Isola come un criceto sulla ruota esultando tutte le volte che mantengo un passo sotto i 6 minuti/km.
Almeno nella 5.30 posso dire di aver fatto un tempo paragonabile a quello tenuto in allenamento (dai 5.50 ai 5.58) cosa che invece non ho mantenuto durante la We Own The Night. Come ampiamente anticipato noi cityrunners abbiamo partecipato alla più celebre corsa della Nike perché…. Perché non avremmo dovuto farlo? Non era nostra intenzione farci notare anche se, in effetti, indossare delle maglie completamente differenti dal resto di gruppo potrebbe aver attirato un po’ l’attenzione su di noi. E infatti qualche commento acido al nostro arrivo in Piazza Gae Aulenti l’abbiamo sentito e, devo dire, con immensa sorpresa perché fatico ancora a pensare che abbiamo ottenuto un’identità riconoscibile. Per me siamo ancora quello sparuto gruppo di sconosciuti che si è incontrato per la prima volta lo scorso gennaio alla sede dell’Adidas. Poco prima di partire Giulia ed io stavamo parlando del Trofeo Sempione e ci siamo rese conto che è passato del tempo da quella soleggiata domenica di marzo e anche diversi km! C’è stata la Stramilano, la Milano Relay Marathon, la 5.30 e diverse sedute di allenamento con il coach più temibile della città, il mitico coach Rondelli, che fino a quando non ti senti insultare da lui almeno una volta non sei ancora una vera cityrunner! Personalmente è da marzo che combatto con un’infiammazione al metatarso che, nonostante le diverse centinaia di euro spese in tecarterapia e in inutili plantari, ancora non è passata. O meglio, lo scorso mercoledì le mani sante di un osteopata neo laureato che fa da istruttore nella mia palestra sembravano aver risolto il problema, tuttavia correre per 10 km su terreni con resistenze diverse, spesso al buio e cercando di evitare le ragazze che camminavano, ha influito sul mio piede che ora è punto e a capo e ha bisogno di essere di nuovo manipolato come un panetto di pasta per la pizza. Non correvo 10 km dalla staffetta di Aprile ma ne avevo fatti 8 abbastanza tranquillamente lo scorso martedì, quindi pensavo di riuscire a mantenere un buon ritmo in gara. Purtroppo non è andata così: i tendini erano di compensato ancora prima di iniziare a causa dei plantari che avevo rimosso e l’acido lattico era sparso un po’ ovunque a causa forse delle due lezioni di TRX un po’ più pese del previsto (grazie Alessandro, grazie davvero!).Inoltre io non sono abituata a correre alla sera a fine settimana: la stanchezza nonostante i 4 caffè si faceva sentire.
Sono partita molto in fondo, un po’ anche per non dare fastidio all’organizzazione onestamente: non mi andava di calpestare i piedi a nessuno. Per non farmi trovare impreparata come alla staffetta avevo l’applicazione GPS al braccio e il cronometro al polso: non esiste che non sappia il mio tempo alla fine della faticata.
Alla partenza comincio subito a superare le ragazze più lente, quelle che sono venute per passeggiare e per spararsi le selfie ogni 10 metri. Solo dopo un bel po’, al primo imbuto all’ingresso dell’Arena Civica mi rendo conto che la vocina dell’app non mi aveva ancora detto nulla né sulla distanza né sul ritmo di corsa eppure sentivo di aver corso almeno un paio di km. Mi guardo il braccio e l’app è ancora sullo zero: non era partita. Mi sono venuti in mente un po’ tutti i santi del paradiso ma almeno avevo fatto partire l’orologio e segnava 12 minuti, il che poteva voler dire che erano circa 2 km fino a quel momento. Ho già letto su altri blog di quanto è stato emozionante entrare in Arena Civica con quell’illuminazione e quella musica: io so solo che ero incazzata nera per non avere avuto il mio tempo in quei primi km che sentivo di aver spinto parecchio e la musica non mi interessava avendo Beyoncé nelle orecchie come sempre ma benedicevo, finalmente, la pista di atletica che non sollecitava troppo talloni e ginocchia. Sì, lo so, sto diventando tecnica anche nelle osservazioni ma dopo 3 mesi di arnica e dolori cominci a contare i passi e a capire che correre su una pista di atletica è cento volte meglio che correre sul maledetto ciottolato milanese.
L’adesione alla corsa è stata eccezionale, si dice che eravamo 7.500. E' bene ricordare che quest'ammirevole iniziativa della Nike viene promossa per le donne ma è di fatto aperta anche agli uomini, una scusa in più per trascinare i fidanzati al prossimo anno e batterli sul terreno di gara! Non biasimo nessuna per averci provato, per aver detto “vado, al massimo cammino”. E’ esattamente così che si comincia, basta mettersi in mezzo ad un gruppo e vedere quante ragazze di tutte le età, con più o meno preparazione sportiva si sono presentate. Tuttavia se volete cimentarvi sulla distanza e mettervi alla prova la We Own The Night non è la corsa più adatta: tante, tantissime ragazze da superare, gente che si fermava in mezzo alla strada per fare le foto, ragazze che si fermavano per recuperare le amiche, lunghi tratti al buio nel parco dove la paura non era quella di beccare un maniaco ma di mettere il piede in una buca. Per chi sa cos’è un infortunio quei tratti al buio sono stati un vero incubo. A circa 1,5 km dalla fine ho guardato l’orologio con la certezza di aver superato ormai i 60 minuti maquello che ho visto non erano numeri ma altri insulti che volevo tirarmi perché con qualche stranomovimento del polso devo aver resettato il cronometro che era appena ripartito da 57 secondi. Le madonne. Le madonne che non ho tirato.
Sono le ultime centinaia di metri e io con le mani sto dicendo "ma vuoi toglierti che devo tirare gli ultimi colpi???" Quando ho visto che l’arrivo era stato piazzato al termine di una salita, ho ingranato la 5° e ho tirato l’ultimo sprint fino al traguardo. Il sito dice che ho terminato in 1.07, non ho idea se sia vero. I miei tendini dicono che è andata molto peggio di così.
E’ stata bellissima la partecipazione della gente, centinaia di uomini che applaudivano e ci davano il 5, che ancora devo capire se ridevano della nostra fatica o se ci guardavano con orgoglio. Bella, anzi bellissima la fila infinita di fidanzati, amici, padri e mariti all’arrivo in Gae Aulenti: 100 metri come l’uscita dal gate dell’aeroporto, tante facce e sguardi impegnati a cercarsi tra la folla. Belle anche le due chiazze di vomito all’arrivo, mi hanno fatto venire in mente tutte le volte che è venuto da vomitare anche a me durante gli allenamenti con il coach Rondelli, a tutte le volte che mi sono sentita dire “se ti viene da vomitare significa che stai facendo bene”. O forse, mi hanno fatto pensare a quelle due ragazze che prima della partenza stavano bevendo uno spritz e ho pensato “ah, pivelle”!
Ringrazio di cuore le ragazze che hanno partecipato alla WOTN con noi dell’Adidas: Ilaria, Francesca, Viviana, Serena e Alessandra. Abbraccio tutte le ragazze che mi hanno salutato passando dicendomi “io ti leggo sempre” perché mi imbarazzano e mi riempiono di gioia nello stesso istante: fatico ancora a credere che ci siano diverse migliaia di persone che mi leggono e trovarsene una di fronte fa sempre un effetto strano ma ve lo giuro, comunque piacevole! Talmente strano che addirittura nel nuovo quartiere dove ora vivo ho qualche lettrice sparsa qua e là, una nel palazzo di fronte, una nel mio condominio al 3 piano (ciao Silvia, presto il nostro caffè!).
Facce rilassate prima della fatica

Infine a dimostrazione del fatto che parlo meglio di corsa che di moda, su Runner’s World di questo mese (giugno) potete trovare un mio articolo sull’esperienza da cityrunner o meglio: da fashion blogger a cityrunner.


Impossible is nothing!

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