Almeno nella 5.30 posso dire di aver fatto un tempo paragonabile a quello tenuto in allenamento (dai 5.50 ai 5.58) cosa che invece non ho mantenuto durante la We Own The Night. Come ampiamente anticipato noi cityrunners abbiamo partecipato alla più celebre corsa della Nike perché…. Perché non avremmo dovuto farlo? Non era nostra intenzione farci notare anche se, in effetti, indossare delle maglie completamente differenti dal resto di gruppo potrebbe aver attirato un po’ l’attenzione su di noi. E infatti qualche commento acido al nostro arrivo in Piazza Gae Aulenti l’abbiamo sentito e, devo dire, con immensa sorpresa perché fatico ancora a pensare che abbiamo ottenuto un’identità riconoscibile. Per me siamo ancora quello sparuto gruppo di sconosciuti che si è incontrato per la prima volta lo scorso gennaio alla sede dell’Adidas.
Sono partita molto in fondo, un po’ anche per non dare fastidio all’organizzazione onestamente: non mi andava di calpestare i piedi a nessuno. Per non farmi trovare impreparata come alla staffetta avevo l’applicazione GPS al braccio e il cronometro al polso: non esiste che non sappia il mio tempo alla fine della faticata.
Alla partenza comincio subito a superare le ragazze più lente, quelle che sono venute per passeggiare e per spararsi le selfie ogni 10 metri. Solo dopo un bel po’, al primo imbuto all’ingresso dell’Arena Civica mi rendo conto che la vocina dell’app non mi aveva ancora detto nulla né sulla distanza né sul ritmo di corsa eppure sentivo di aver corso almeno un paio di km. Mi guardo il braccio e l’app è ancora sullo zero: non era partita. Mi sono venuti in mente un po’ tutti i santi del paradiso ma almeno avevo fatto partire l’orologio e segnava 12 minuti, il che poteva voler dire che erano circa 2 km fino a quel momento. Ho già letto su altri blog di quanto è stato emozionante entrare in Arena Civica con quell’illuminazione e quella musica: io so solo che ero incazzata nera per non avere avuto il mio tempo in quei primi km che sentivo di aver spinto parecchio e la musica non mi interessava avendo Beyoncé nelle orecchie come sempre ma benedicevo, finalmente, la pista di atletica che non sollecitava troppo talloni e ginocchia. Sì, lo so, sto diventando tecnica anche nelle osservazioni ma dopo 3 mesi di arnica e dolori cominci a contare i passi e a capire che correre su una pista di atletica è cento volte meglio che correre sul maledetto ciottolato milanese.
L’adesione alla corsa è stata eccezionale, si dice che eravamo 7.500. E' bene ricordare che quest'ammirevole iniziativa della Nike viene promossa per le donne ma è di fatto aperta anche agli uomini, una scusa in più per trascinare i fidanzati al prossimo anno e batterli sul terreno di gara! Non biasimo nessuna per averci provato, per aver detto “vado, al massimo cammino”. E’ esattamente così che si comincia, basta mettersi in mezzo ad un gruppo e vedere quante ragazze di tutte le età, con più o meno preparazione sportiva si sono presentate. Tuttavia se volete cimentarvi sulla distanza e mettervi alla prova la We Own The Night non è la corsa più adatta: tante, tantissime ragazze da superare, gente che si fermava in mezzo alla strada per fare le foto, ragazze che si fermavano per recuperare le amiche, lunghi tratti al buio nel parco dove la paura non era quella di beccare un maniaco ma di mettere il piede in una buca. Per chi sa cos’è un infortunio quei tratti al buio sono stati un vero incubo. A circa 1,5 km dalla fine ho guardato l’orologio con la certezza di aver superato ormai i 60 minuti maquello che ho visto non erano numeri ma altri insulti che volevo tirarmi perché con qualche stranomovimento del polso devo aver resettato il cronometro che era appena ripartito da 57 secondi. Le madonne. Le madonne che non ho tirato.
E’ stata bellissima la partecipazione della gente, centinaia di uomini che applaudivano e ci davano il 5, che ancora devo capire se ridevano della nostra fatica o se ci guardavano con orgoglio. Bella, anzi bellissima la fila infinita di fidanzati, amici, padri e mariti all’arrivo in Gae Aulenti: 100 metri come l’uscita dal gate dell’aeroporto, tante facce e sguardi impegnati a cercarsi tra la folla. Belle anche le due chiazze di vomito all’arrivo, mi hanno fatto venire in mente tutte le volte che è venuto da vomitare anche a me durante gli allenamenti con il coach Rondelli, a tutte le volte che mi sono sentita dire “se ti viene da vomitare significa che stai facendo bene”. O forse, mi hanno fatto pensare a quelle due ragazze che prima della partenza stavano bevendo uno spritz e ho pensato “ah, pivelle”!
Ringrazio di cuore le ragazze che hanno partecipato alla WOTN con noi dell’Adidas: Ilaria, Francesca, Viviana, Serena e Alessandra. Abbraccio tutte le ragazze che mi hanno salutato passando dicendomi “io ti leggo sempre” perché mi imbarazzano e mi riempiono di gioia nello stesso istante: fatico ancora a credere che ci siano diverse migliaia di persone che mi leggono e trovarsene una di fronte fa sempre un effetto strano ma ve lo giuro, comunque piacevole! Talmente strano che addirittura nel nuovo quartiere dove ora vivo ho qualche lettrice sparsa qua e là, una nel palazzo di fronte, una nel mio condominio al 3 piano (ciao Silvia, presto il nostro caffè!).
Infine a dimostrazione del fatto che parlo meglio di corsa che di moda, su Runner’s World di questo mese (giugno) potete trovare un mio articolo sull’esperienza da cityrunner o meglio: da fashion blogger a cityrunner.
Impossible is nothing!