L’Italia è un paese in guerra.
Fa sempre bene ricordarlo, perché quotidiani e telegiornali, con rarissime eccezioni, non ne parlano mai, a differenza di quanto avviene ad esempio in un paese non certo comunista come la Germania, nel quale l’impegno in Afghanistan occupa una posizione importante nel dibattito politico. L’unico momento in cui questa narcosi collettiva si desta è quello in cui qualcuno dei nostri militari viene ucciso, e tocca riportare a casa la bara coperta dal tricolore e scomodare i vari politici di turno che si sentono in dovere di ricordarci che la missione è indispensabile e che questi sono “i nostri eroi”. Ora, questa propaganda da regime è totalmente inaccettabile.
Voglio fare subito due precisazioni a scanso di equivoci, perché credo di conoscere i rischi insiti in questo tipo di discussione. In primo luogo, non unirò mai la mia voce a quella che invoca “10, 100, 1000 Nassirya”; anzi trovo che essere ridotti ad augurarsi il massacro dei nostri militari perché questo renda la gente consapevole degli orrori della guerra sia indice della decomposizione celebrale di una certa “estrema sinistra” della politica italiana, che secondo me con la sinistra ha ben poco a che fare. In secondo luogo non posso certo dichirarami un pacifista, almeno nel senso forte del termine: non voglio troppo dilungarmi su questo punto, mi limito a dire che nel momento in cui qualcuno tornerà a marciare col passo dell’oca non avrò nessun freno morale nel caricare il mio fucile.
Detto questo, non accetto che si parli dei nostri caduti come di “eroi”. Questi soldati sono tutti professionisti, ben pagati, che per loro libera scelta decidono di andare in missione in una parte del mondo dove, si sa, si spara. Quello che intendo dire è che chi fa un lavoro pericoloso si deve aspettare di essere esposto a dei rischi, e non è certo una novità il fatto che fare il soldato sia uno mestiere molto pericoloso (e proprio per questo, ribadisco, generosamente retribuito!). E’ veramente ridicolo che tutto questo sia mascherato da una propaganda che ci propone una “guerra per la pace” e ci spiega come queste persone siano morte per “proteggere la nostra sicuerezza”: questa teoria mi sembra fumosa, pretestuosa, in ultima analisi falsa, e lo dimostra il fatto che le motivazioni che la sostengono oscillino tra “i talebani erano un regime che non rispettava i diritti umani” a “gli attentatori dell’11 Settembre venivano dall’Afghanistan”. Dunque, per prima cosa gli attentatori delle torri gemelle erano per la maggior parte cittadini sauditi (15 su 19), due cittadini degli E.A.U., un egiziano e un libanese. Chissà perché nessuno ha mai proposto di dichiarare guerra all’Arabia Saudita! Che poi i talebani non fossero proprio rispettosi dei diritti umani è certamente un dato di fatto, ma vedete, mi sembra un pò strano che per difendere i diritti umani in un paese sperduto si sia mobilitata mezza europa al seguito degli USA: se volessiamo spingerci un pò oltre, potremmo notare come gli States e la nostra cara Italia (grazie al magico oleodotto) abbiano allungato le mani sulle risorse petrolifere di questo paese, e capire che forse ci stanno raccontando un sacco di balle. Se poi vogliamo allargare il campo della critica e parlare della situazione geopolitica dell’area, in connessione con la sicurezza internazionale, forse da parte degli USA non è stata proprio una mossa astutissima togliere di mezzo Iraq e Afghanistan, che, pur essendo governati da regimi tutt’altro che democratici, non avevano armi di distruzione di massa ed erano gli unici avversari dell’Iran, che infatti, guarda caso, da qualche tempo ha mostrato i muscoli e vuole a tutti i costi la cara vecchia bomba.
Capite ora perché mi prudono le orecchie quando sento che i soldati che partecipano a queste operazioni sono degli eroi? Io rispondo no, sono lavoratori. Solo che, stranamente, nessuno si sogna di dire che un operaio che muore sul posto di lavoro (5 morti al giorni signori, questa è una GUERRA), servendo il paese a mio avviso molto più utilmente rispetto a un soldato che sta in Afghanistan, sia da considerarsi un eroe.