Penso che più cittadini italiani possibile dovrebbero guardare la puntata di Presa Diretta dedicata alle vittime della violenza della polizia, dal titolo “Morti di Stato”. Lo merita per come è condotta l’inchiesta, per la chiarezza dell’esposizione e perché si tratta di un argomento fondamentale anche per chi non è (ancora) stato toccato dal problema. Tra l’altro le storie raccontate dalla trasmissione non sono che la punta di un iceberg immenso composto in buona parte da persone che subiscono violenze ma non denunciano perché non si fidano o perché temono ulteriori ritorsioni.
La puntata ha qualche difetto: si apre con una leccata di culo alle forze dell’ordine completamente smentita da tutto quello che verrà dopo e Iacona, oltre a dondolare eccessivamente la testa quando parla, ha la pessima abitudine di interrompere le persone che intervista. Nonostante ciò, merita davvero perché certe cose bisogna saperle.
Qualche ora prima di iniziare a guardare la succitata puntata (su youtube perché – inserire ancora improperi contro chiunque sia alla Rai colpevole dell’icompatibilità con Linux) mi era capitato un incontro molto spiacevole con la polizia municipale.
Ero nella sala del consiglio comunale di Udine per ascoltare una presentazione del sindaco riguardo alla faccenda di Amga ed Hera. Dovete immaginarvi una sala lunga, peraltro molto pittoresca, con i tavoloni disposti a ferro di cavallo. A un’estremità di detti tavoli, prima del piccolo spazio lasciato a giornalisti e pubblico, c’erano delle sedie libere: vedendo che non servivano a nessuno mi ci sono seduta. L’avevo già fatto una volta e nessuno aveva trovato da ridire. Questa volta invece mi è stato detto di alzarmi, se non ricordo male da un vigile. Allora, con un amico, mi sono messa in piedi a ridosso del muro accanto al proiettore. È arrivato un tizio che lavora in comune, probabilmente un dirigente, e ci ha detto bruscamente di non stare davanti al proiettore. Sottolineo che noi non eravamo davanti, non creavamo nessun tipo di intralcio e non ostacolavamo la proiezione. Non importa: “non fatemi tornare indietro!”, ci ha intimato questo con tono minaccioso, come quando i genitori cercano di spaventare i bambini: “non farmelo ripetere!”
I vigili, piuttosto agitati, ci hanno costretti a stare in piedi dall’altra parte della sala, in una posizione molto scomoda dove era tutto un via vai di gente e noi rappresentavamo effettivamente un intralcio (ma solo al popolino, e quindi chi se ne frega). Un signore che aveva avuto la fortuna di trovare un posto a sedere si è addirittura alzato e ha dato una spallata al mio amico – dal basso in alto, perché era più piccolo – per esprimere il suo malcontento nell’avere qualcuno davanti. Io percepisco che le persone oggigiorno sono nervose, stanno male, si arrabbiano…
Insomma i vigili non mi hanno permesso nemmeno di appoggiare il mio pesante cappotto su una delle sedie vuote, e hanno fatto alzare anche una signora di una certa età che ignara ne aveva occupata una.
C’era una folla in piedi, un piccolo cordoncino facilmente scavalcabile e dei posti liberi. Perché costringere le persone alla scomodità? Perché tutto questo rigore senza motivazione pratica? Il consiglio comunale è un evento pubblico e l’obiettivo dovrebbe essere facilitare la partecipazione, non ostacolarla. Alla fine non ce la facevo più a stare ferma in piedi così a lungo, anche perché a me dopo un po’ gira la testa, e mi sono appoggiata a uno dei tavoloni e poi, vedendo che non davo fastidio né coprivo la visuale a nessuno, mi sono seduta su questo tavolo. Ovviamente appena se ne sono accorti mi hanno fatta scendere. Io brontolavo ma non mi sono opposta.
Tutto questo per dire che, all’uscita, sono andata incontro a uno dei vigili con l’intenzione di dirgli: “per favore, tutta questa severità usatela anche contro gli automobilisti che parcheggiano in divieto”. Sapendo quanto sanno essere ciechi e tolleranti i vigili a Udine, mi aveva irritato profondamente la loro intransigenza proprio quando non serviva. Tra l’altro un’altra volta a mio padre, sempre in consiglio, era stato addirittura proibito di aprire uno striscione.
E invece il vigile, prima che potessi parlargli, mi si è rivolto così: “ma lei dove ha studiato?” Perplessità sul mio volto. “Un minimo di educazione… uno così buzzurro da sedersi su un tavolo non si era mai visto.”
Adesso lo sapete tutti: sono una di quelle persone rare e spiacevoli che di tanto in tanto scambiano un tavolo per una sedia. So che la mia informalità da fastidio a molti e mi crea problemi anche quando mi capita di lavorare: una volta degli assessori carnici si sono lamentati con un’associazione culturale per cui lavoravo perché sono arrivata a una riunione mangiando un grappolo d’uva. Giuro.
Non ho risposto al vigile, come forse avrei dovuto, e sono tornata a casa con un diavolo per capello. Che diritto aveva quell’uomo, in un momento in cui io stavo andando via e dopo che comunque avevo obbedito all’ordine di spostarmi, di insultarmi in modo così sgradevole? Voleva sfogarsi? Voleva arrogarsi il diritto di dirmi come devo essere e vivere? Si era preso questa libertà perché si è trovato davanti una sconosciuta giovane e dall’aria un po’ alternativa, e non una figura di potere?
Sembra una cosa da poco, ma l’umiliazione può avere effetti profondi su persone sensibili. Ne ho parlato con un amico che mi ha detto che anche questo episodio nel suo piccolo rappresenta la distanza tra cittadini ed istituzioni.
Questa è la mia personale premessa alla puntata di Presa Diretta che vi sto consigliando, e la mia integrazione ai molti temi da loro trattati. Ne mancava uno, forse perché sottinteso, forse perché filosofico, a spiegare come mai poliziotti pagati per svolgere un ruolo di protezione della società finiscano per massacrare di botte i suoi componenti più indifesi o irriverenti: la crisi dell’idea di servizio e l’arroganza del potere.