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Orgasmo nazista

Creato il 25 giugno 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

da “Premio Strega” di Iannozzi Giuseppe

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Orgasmo nazista
Un tedesco, poco ma sicuro.
L’uomo che l’aveva penetrata non poteva che essere un maledetto crucco. Sentiva ancora il suo fiato pesante di crauti e birra, impossibile da dimenticare. L’aveva stantuffata finché non ce l’aveva fatta più, poi barcollante un po’ si era alzato in piedi con l’uccello nudo e moscio fra le gambe a stecchino ed aveva buttato fuori un rutto. La faccia quella di un anonimo qualunque, uno sui cinquanta, capelli d’un giallo paglierino, occhi d’un azzurro slavato, fronte alta e rugosa, guance peste cadenti uguali a quelle d’un vecchio boxeur.
Quando le aveva tappato la bocca con la mano aveva capito subito che cosa le sarebbe accaduto.
Era già pronto per darglielo nel culo. Ma lei gl’aveva cacciato le mani addosso, con selvaggia volontà omicida e di punto in bianco si era ritrovata con una rivoltella in mano. Aveva sparato senza pensarci sù due volte. Il colpo aveva fatto centro. Un bel foro in mezzo alla camicia bianca e allo stomaco. L’uomo aveva gorgogliato qualcosa prima di cadere in ginocchio, cercando invano di non morire con le mutande ancorate alle caviglie. Smarrito più che spaventato le sue mani avevano vagato sullo stomaco, sul sangue nero che usciva veloce in un fiotto come da una fontanella. Dalla bocca eruttò un singulto, poi rese l’anima per andare a trovare il suo cazzo di dio nel Valhalla.
La luce smorta del solo lampione acceso nella notte le spruzzava la faccia.
Non provava rimorso per averlo fatto fuori, né si sentiva sporca per lo sperma caldo che ancora le colava fra le gambe. L’aveva ammazzato. Era sempre stato un suo desiderio inconfessato far fuori un maschio subito dopo aver scopato. Si era tolta la voglia. Non credeva che le si sarebbe presentata l’occasione. Ed invece!
Legittima difesa. Una donna violentata. Qualche lacrima per la stampa. Per i fotografi. Nessuno l’avrebbe mai condannata per aver fatto fuori quel figlio di puttana. Lui, tecnicamente, l’aveva stuprata. La vittima era lei, la donna.
Le sirene in lontananza ma sempre più vicine.
Accorrevano.
Un infermiere copriva il cadavere dell’uomo lungo disteso a baciare l’asfalto, quasi volesse bere il suo stesso sangue, con la sua bocca morta.
Un altro infermiere la stava avvolgendo in una coperta. Con delicatezza. Come se volesse chiuderla in una placenta di sicurezza. Le diceva con voce lenta e monotona che tutto sarebbe andato a posto, che non doveva preoccuparsi di niente. Che non l’avrebbero lasciata da sola, mai.
Lei piangeva.
Era felice di stemperare l’orgasmo in un pianto liberatorio.


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