Giuseppe Casarrubea
Leoluca Orlando dopo il successo
Quando si candidò a sindaco, la prima volta, il tema centrale del suo progetto politico fu l’ordinaria amministrazione di un buon democristiano. Quando la seconda volta fu eletto sindaco, dopo le stragi che avevano ridotto in macerie la Sicilia e l’Italia, disse che aveva un sogno. E questo sogno continuò a realizzare quando per la terza volta i palermitani lo confermarono nella carica di primo cittadino, nel 1997. Il sogno forse aveva cominciato a produrre i suoi risultati perché non basta sognare, quando si ricopre una carica amministrativa, specie di importanza primaria. Occorre anche saper far sognare e ridestare il sogno nei cittadini che ti hanno scelto, per condividere con te gioie e speranze, uno stesso progetto. Sia pure quello modesto, ma già ambizioso, di rendere vivibile la tua città.
Orlando voleva sognare la sua città e far sentire ai palermitani come fosse possibile trasformare la palude in volo, il grigiore e la sedentarietà in cielo e nuvole, in nuovi orizzonti. E con questo spirito, nel 2001, si dimise dalla carica di primo cittadino per abbattere le incrostazioni più dure e diffuse della Sicilia da scartare. Quella che si fondava sulla mafiosità, sulla cultura degli “amici degli amici”. Perciò trovò osso duro con Totò Cuffaro che nelle consultazioni a governatore dell’isola lo batté con uno scarto di ben venti punti percentuale. Sembrava che il legame che aveva unito molto a lungo Orlando alla sua città, ai palermitani e alla Sicilia si fosse rotto in qualche punto non meglio definito. Anche se con il senno del poi e con la pratica dell’esperienza di ciò che ci accade giorno dopo giorno, possiamo ora dire che era l’imperante berlusconismo. Nel 2007, in corsa a sindaco di Palermo è, infatti, battuto da Diego Cammarata.
Ma i tempi sono cambiati. Il berlusconismo è politicamente fuori gioco e le sconnesse pattuglie del Pdl sono rimaste come soldati senza equipaggiamento nell’inverno della Russia sovietica, al tempo della disfatta del nazifascismo. A Palermo fanno la loro comparsa i grillini, che trionfano dovunque tranne che nella capitale di quest’isola profonda e silenziosa. Mai urlata. E subiscono una bella botta il Pd di Cracolici e l’Mpa di Lombardo, l’erede di Cuffaro.
La botta per tutti è stata talmente forte che adesso si tenta di ricorrere ai ripari. Ma i capi del Pd rischiano di fare un brutto rattoppo in un altrettanto indecoroso buco. Investiti da tempo da vocazioni autodistruttive, si sono dati la zappa ai piedi, candidando un figlio di papà che poteva andar bene, forse, per qualche festicciola di quartiere. Qualcuno, come la Finocchiaro, presidente dei senatori democratici, aggrava il quadro clinico proponendo addirittura un sostegno a Orlando, nel secondo turno. A suo modo di vedere per strappare Palermo al centro-destra. E lo dice in modo consapevole, come se Orlando avesse bisogno dei voti di Ferrandelli per vincere una battaglia che ha già vinto prima ancora di scendere in lizza. L’ha vinta da quando si è messo in atto il teatrino della guerra intestina al Pd e dell’appoggio dato da Cracolici a Lombardo. Una guerra “fratricida” tutta interna al centro-sinistra con il ballo in maschera delle comparse del cosiddetto partito democratico, attorno a uno che era già in odore di santità. Ora il Pd tutto è tranne che democratico, visto e considerato che il parere dei suoi stessi iscritti è stato tenuto in poco conto dalla tronfietà della congregazione del presidente del gruppo Pd all’Ars. Il noto personaggio imputa a Orlando la colpa di avere ereditato i voti di Cammarata, come se questo fosse un male e non il frutto di un bisogno che ha la gente di trovare, finalmente, qualcuno che amministri bene Palermo. Cosa che non era riuscita con il decaduto sindaco.
Personalmente penso che Ferrandelli abbia il dovere etico-politico di fare fino in fondo la sua campagna elettorale, perché solo così i palermitani potranno dimostrare l’inconsistenza del programma politico del Pd siciliano, e scegliere, con consapevolezza, il sindaco che va bene a una città, capitale della Sicilia, tanto martoriata dai personalismi, dalla lontananza dall’Italia e – figuriamoci – dall’Europa. Sarebbe equivoco e troppo comodo, ritirarsi nel pieno di una campagna elettorale – come suggerisce il democratico Enzo Bianco. Si vede che il Pd non ha ancora imparato a perdere fino in fondo, e a portare avanti, con coerenza e fino in fondo, le sue scelte. A fronte di un candidato come Orlando che ha quasi toccato il successo in una tornata elettorale con ben undici candidati sindaci.
Adesso il gioco è finito ma ne comincia subito un altro. Senza l’equivoco di fondo sulla politica regionale. E purtroppo con l’altro equivoco di un candidato sindaco del Pd che è stato irresponsabilmente buttato nella mischia da chi, forse, è abituato da troppo tempo, a trattare il prossimo con cinismo e freddezza.