Magazine Cinema
Il cinema si annienta per far posto alla realtà che più reale non si può: corpi aperti come libri che nessuno ha mai letto, budella che si riversano a fiumi per farci intendere che dentro abbiamo molte più cose che fuori, e poi occhi vitrei o palpebre socchiuse che quasi sembrano addormentate, la pelle giallognola puntellata da lividi, i sessi rattrappiti, l’odore acre che trascende lo schermo. Ed è tutto vero. A confronto Nacho Cerdà dal punto di vista pratico ha fatto un film per poppanti con il suo Aftermath (1994), qua ci troviamo di fronte ad una vera e propria pornografia della morte che non cela niente allo spettatore. Questo potrebbe far pensare che Orozco sia soltanto un derivato dei mondo-movie giunto fuori tempo massimo, eppure la discordanza a mio avviso sostanziale è che Kiyotaka a differenza di Jacopetti & co. non ha alcun fine pseudo-didattico tendente al ridicolo nell’impostazione filmica poiché la sua opera mira al pragmatismo assiderale, e Orozco ne incarna bene lo spirito: lascia allibiti la naturalezza con cui maneggia i corpi senza vita delle persone, e sconcerta ancora di più la percezione che lo spettatore ha delle salme e in particolare dei loro visi che paiono ancora, vi giuro, effettuare delle espressioni facciali. Da brividi.
Ammesso e non concesso che la pellicola in esame sia una roba da cultura più sotto dell’underground, se c’è qualcos’altro aldilà di pance svuotate e teste scannate, ecco che si palesa un quadro sociale di una povertà così allucinante da lasciare esterrefatti. Raramente ho visto nel cinema, anche se c’è da chiedersi se in questo caso è giusto parlare in tali termini, una presa così annichilente sulla miseria del sottoproletariato. Le prevedibili derive illegali (droga e prostituzione) vengono doppiate da un ambiente malsano che sfocia in immagini crudissime, su tutte un cadavere disarticolato pucciato nel suo stesso sangue con una bimba (una bimba vestita di viola alta neanche un metro) che a due passi se ne sta lì a guardare una cosa più grande di lei. E di noi.
Un film che andrebbe scritto tra virgolette, un documento funereo che stimolerà i vostri succhi gastrici, una visione disturbante/rivoltante priva di speranza come le ultime istantanee, forse di un post-terremoto, che mostrano naturalmente le macerie di una, della, civiltà.
(e un uomo nascosto sotto il manto stradale fra topi e rifiuti)
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