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Orwell, e il prodigio parabolico della curva altofonica

Creato il 22 febbraio 2012 da Upilmagazine @UpilMagazine

Il signor Oronzo Orwell ha deciso. Lo stadio se lo costruirà in casa. Difficile, Impossibile? Forse per altri, non per lui. Niente affatto. Un po’ di fantasia e l’aiuto della tecnologia faranno il miracolo. Così la sua squadra del cuore giocherà d’ora in poi dentro casa sua, proprio in quelle quattro mura calducce e accoglienti. E lui in prima fila ad incitare, gridare, sostenere, urlare, esultare, arrabbiarsi come ai bei tempi. Quando, giovane e ricco d’entusiasmo, seguiva i suoi colori dappertutto, sui campi fangosi in terra battuta con un panino nei pantaloni ed un Borghetti nella camicia. Le mani servivano per la bandiera, la più grande e la più bella, con quello stemma che riempiva il cielo e incuteva tremore negli avversari.
Tempi belli e nostalgici quelli, quando i cori erano “olio, petrolio, acqua minerale: per battere la mia squadra serve la Nazionale”. Altri tempi appunto, perché i tempi cambiano e l’uomo, animale abitudinario, ha imparato benissimo a spalmarsi sulle comodità della tecnologia. Tutto è relativo, nulla è assoluto. Ora neppure la fede.
E allora lo stadio non è più il luogo dove consumare e vivere un evento sociale abbracciandosi con amici e sconosciuti per la vittoria, soffrire e piangere spalla a spalla all’incedere della sconfitta. È più banalmente uno scomodo loco grigio e freddo, dove va in scena una sfida sportiva, mutuabile più comodamente col televisore ed il divano di casa. Se arrivasse anche la voce dal divano allo stadio poi, sarebbe perfetto.
L’idea, anzi l’illuminazione, a Oronzo Orwell gliel’ha data un vecchio amico dalle idee immaginarie e strampalate. Infatti Vituccio Verne queste idee le ha sempre avute, sin da piccolo, e chissà che in vecchiaia non abbia tirato fuori quella giusta. Vituccio V. infatti gli ha detto. “Ormai negli stadi hanno fatto gli spettatori finti, guarda Trieste. Sono bellissimi, gli manca solo la voce”. Geniale!!
E così Oronzo Orwell s’è messo all’opera. Ha subito chiamato l’amico Antonino Asimov, funambolico scienziato a tempo perso, con la testa tra le nuvole ed anche oltre, e gli ha esposto idea e richiesta. “Fammi cantare da casa i cori per la mia squadra e falli arrivare dentro lo stadio”.
Antonino Asimov l’ha guardato in faccia, il vecchio amico di tante battaglie in curva, l’ha scrutato in profondità fino a coglierne l’essenza dell’uomo invecchiato dalle comodità. Ne ha letto l’inconscia richiesta subliminale. “Illudimi che non sono morto dentro attraverso la metafora di una voce che vuole arrivare dove il cuore ormai se ne frega di essere”. Ha letto e capito tutto questo Antonino A., uomo che sa guardare lontano oltre le stelle, sulla faccia di Oronzo Orwell. Eppure non ha detto nulla. Non sarà lui, con le sue parole, a notificare la morte interiore dell’amico.
Così gli assembla il marchingegno magico: un microfono da karaoke inserito nel decoder di SKY, un supplemento di costo all’abbonamento base della tv satellitare, un altoparlante al posto della poltroncina fila D numero 20 della curva, il suo vecchio storico posto. L’altoparlante nascosto dietro una sua foto a mezzo busto con la sciarpa dei suoi colori intorno al collo.
Ad Oronzo O. non gli sembra vero, ora potrà tifare davvero, come ai vecchi tempi. Il suo calore e la sua voce arriveranno ai suoi campioni. Bellissimo.
Nessuno, proprio nessuno, s’era accorto nel frattempo che il Governo aveva sostituito i giocatori veri con robot stile Terminator: robot a sembianze umane. Il risultato della gara era codificato ogni domenica nel loro processore e nella scheda di memoria. Il risultato della gara era deciso a tavolino. Serviva a tenere il campionato equilibrato ed incollare l’attenzione di una nazione: catodica ipnosi intorno al nulla, api intorno ad un favo pvc. Le interviste del dopo gara? Uomini del governo che davano la faccia ai robot in campo.
Ma Oronzo O. tutto questo non lo sapeva. Col suo microfono a casa ed il suo altoparlante allo stadio lui era ritornato bambino. Quell’altoparlante allo stadio, già. Che idea…
Un altoparlante tra tanti, con foto. Croce simbolica di un cimitero di anime lontane.

Domanda: quanto ne siamo lontani?

In una manifestazione
sportiva si vince e si perde,
la vera sconfitta è vincere
e perdere da soli.


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