Tempo fa mi sono posto l’interrogativo morale se sia lecito augurarsi la morte di uomini sanguinari capaci di massacrare e annientare in un colpo solo centinaia di vite umane. La risposta intima alla quale sono giunto dopo quella riflessione è stata che, no, non è lecito augurarsi la morte di nessuno, neppure del più abietto tra gli esseri umani. Il caso dell’uccisione di Osama Bin Laden in Pakistan da parte dei servizi speciali americani e le successive immagini di giubilo che hanno fatto il giro del mondo, hanno riproposto in me quel dilemma, ma stavolta sotto una forma diversa. Al di là della notizia in sé, dell’uomo in questione, e delle circostanze per nulla chiare degli eventi di cui parliamo, per una volta mi trovo d’accordo con la posizione assunta dalla Chiesa: in ogni caso non ci si rallegra mai di fronte alla morte di un uomo. Esultare per una morte equivale a compiere un passo fatale verso l’imbarbarimento e il degrado di una civiltà. A me sembra che certe situazioni si prestino bene alla designazione di un singolo criminale espiatore, di una faccia responsabile alla quale attribuire misfatti di cui sono in realtà corresponsabili centinaia di persone, organizzazioni, gruppi di potere. Eliminando quella faccia, quel simbolo, si lancia alle masse un messaggio chiaro e definitivo: il problema è stato risolto. Non importa quanto ciò sia effettivamente vero, non importa quale saranno le ripercussione politiche, economiche, sociali. Ciò che conta è che un simbolo è stato smantellato. Il tripudio delle folle d’America per l’annuncio della morte del re del terrore rientra quindi in quello che io chiamo l’esorcismo della colpa, un rito macabro e primitivo che serve a rimuovere in un colpo sole le responsabilità collettive e, cosa ancor più angosciante, la quantità di dolore subìto.
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