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Oscar Wilde – Il ritratto di Dorian Gray 17

Creato il 11 settembre 2012 da Marvigar4

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Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray
Traduzione dall’originale inglese The Picture of Dorian Gray
di Marco Vignolo Gargini

Capitolo XVII

   Una settimana dopo Dorian Gray stava seduto nella serra a Selby Royal a parlare con la graziosa duchessa di Monmouth, che era tra i suoi ospiti insieme al marito, un uomo di sessant’anni dall’aria spossata. Era l’ora del tè, e la luce soffice dell’enorme lampada coperta di pizzo sul tavolo illuminava le porcellane delicate e l’argento cesellato del servizio a cui la duchessa stava presiedendo. Le sue bianche mani si muovevano con grazia tra le tazze, e le sue labbra carnose e rosse sorridevano a qualcosa che Dorian le aveva sussurrato. Lord Henry era sdraiato in una sedia di vimini foderata di seta e li guardava. Su un divano color pesca sedeva Lady Narborough, fingendo di ascoltare la descrizione del duca dell’ultimo scarabeo brasiliano che aveva aggiunto alla sua collezione. Tre giovani in smoking di pregiata fattura porgevano dei pasticcini ad alcune signore. Al ricevimento c’erano dodici persone e si attendevano altri arrivi il giorno seguente.
   «Di che state parlando?» disse Lord Henry, andando a posare la sua tazza sul tavolo. «Spero che Dorian ti abbia detto del mio progetto di ribattezzare ogni cosa, Gladys. È un’idea deliziosa.»
   «Ma io non voglio essere ribattezzata, Harry» ribatté la duchessa, guardandolo con i suoi meravigliosi occhi. «Sono più che soddisfatta del mio nome, e sono sicura che Mr. Gray sia soddisfatto del suo.»
   «Mia cara Gladys, non cambierei i vostri due nomi per nessuna cosa al mondo. Sono tutti e due perfetti. Pensavo soprattutto ai fiori. Ieri ho colto un’orchidea per il mio occhiello. Era una splendida cosa picchiettata, impressionante come i sette vizi capitali. Ho chiesto senza pensarci a uno dei giardinieri come si chiamava. Mi ha risposto che era un bell’esemplare di Robinsoniana, o una mostruosità del genere. È una triste verità, ma abbiamo perso la facoltà di dare dei bei nomi alle cose. i nomi sono tutto. Non me la prendo mai con le azioni. Me la prendo solo con le parole. Questo è il motivo per cui odio il realismo in letteratura. L’uomo che chiama vanga una vanga dovrebbe essere costretto ad usarne una. È la sola cosa a cui è adatto.»
   «Allora che nome dovremmo darti, Harry?» chiese la duchessa.
   «Il suo nome è Principe Paradosso» disse Dorian.
   «Ce lo vedo al volo» esclamò la duchessa.
   «Non ne voglio sentir parlare» rise Lord Henry, sprofondando nella sedia.
   «Non c’è scampo da un’etichetta! Rifiuto il titolo.»
   «Ai reali non è concesso abdicare» suonò come un avvertimento di labbra graziose.
   «Allora, vuoi che difenda il mio trono?»
   «Sì»
   «Io offro le verità di domani.»
   «Preferisco gli errori di oggi» rispose la duchessa.
   «Mi disarmi, Gladys» esclamò Lord Henry, cogliendo l’intenzione ostinata del suo umore.
   «Del tuo scudo, Harry, non della tua lancia.»
   «Io non attacco mai la bellezza» disse, con un gesto della mano.
   «Questo è il tuo errore, Harry, credimi. Tu sopravvaluti la bellezza.»
   «Come puoi dirlo? Ammetto di pensare che è meglio essere belli che essere buoni. Ma, d’altro canto, nessuno è più pronto di me a riconoscere che è meglio essere buoni che brutti.»
   «Allora, la bruttezza è uno dei sette peccati capitali?» gridò la duchessa. «E che fine fa il tuo paragone con l’orchidea?»
   «La bruttezza è una delle sette virtù capitali, Gladys. Tu, da brava Tory, non devi sottovalutarla. La birra, la Bibbia e le sette virtù capitali hanno reso l’Inghilterra quello che è.»
   «Allora, non ami il tuo paese?» chiese.
   «Ci vivo.»
   «Per poterlo censurare meglio.»
   «Vuoi che riporti il verdetto dell’Europa?» domandò.
   «Che dice di noi?»
   «Che Tartufo è emigrato in Inghilterra e ha aperto un negozio.»
   «È tua, Harry?»
   «Te la regalo.»
   «Non poteri usarla. È troppo vera.»
   «Non avere paura. I nostri compaesani non riconoscono mai una descrizione.»
   «Sono pratici.»
   «Sono più astuti che pratici. Quando tirano il loro bilancio, fanno quadrare la stupidità con la ricchezza, e il vizio con l’ipocrisia.»
   «Tuttavia, abbiamo fatto grandi cose.»
   «Grandi cose ci sono state affidate, Gladys.»
   «Ne abbiamo portato il fardello.»
   «Solo fino alla Borsa.»
   La duchessa scosse il capo. «Io credo nella razza» esclamò.
   «Rappresenta la sopravvivenza di chi va avanti a spintoni.»
   «Ha il suo sviluppo.»
   «La decadenza mi affascina di più.»
   «E l’arte?» chiese lei.
   «È una malattia.»
   «L’amore?»
   «Un’illusione.»
   «La religione?»
   «Il sostituto alla moda della fede.»
   «Sei uno scettico.»
   «Mai! Lo scetticismo è l’inizio della fede.»
   «Cosa sei?»
   «Definire è limitare.»
   «Dammi un filo.»
   «I fili si spezzano. Ti perderesti nel labirinti.»
   «Mi sconcerti. Parliamo di qualcun altro.»
   «Il nostro padrone di casa è un argomento delizioso. Anni fa fu battezzato Principe Azzurro.»
   «Ah! Non me lo ricordare» gridò Dorian Gray.
   «Il nostro padrone di casa stasera è davvero orribile» rispose la duchessa arrossendo. «mi sa che creda che Monmouth mi ha sposato per principi puramente scientifici come l’esemplare migliore di farfalla moderna che poteva trovare.»
   «Bene, spero che non le conficchi degli spilli, duchessa» rise Dorian.
   «Oh! Lo fa già la mia domestica, Mr. Gray, quando ce l’ha con me.»
   «E perché ce l’ha con lei, Duchessa?»
   «Per i motivi più banali, Mr. Gray, glielo assicuro. Di solito perché rientro alle nove meno dieci e le dico che devo esser pronta per le otto e mezzo.»
   «Com’è irragionevole! Dovrebbe darle gli otto giorni.»
   «Non oso, Mr. Gray. Guardi, è lei che crea i miei cappelli. Si ricorda il cappello che indossai al garden-party di Lady Hilstone? Non lo ricorda, ma è carino da parte sua far finta di sì. Bene, lo creò dal nulla. Tutti i bei cappelli sono creati dal nulla.»
   «Come tutte le buone reputazioni, Gladys» interruppe Lord Henry. «Ogni effetto che produciamo ci crea un nemico. Per essere popolare si deve essere una mediocrità.»
   «Non con le donne,» disse la duchessa, scuotendo il capo; «e le donne governano il mondo. Ti assicuro che non possiamo tollerare le mediocrità. Noi donne, come qualcuno dice, amiamo con le orecchie, così come voi uomini amate con gli occhi, ammesso che voi amiate.»
   «Mi sembra che non facciamo altro» mormorò Dorian.
   «Ah! Allora, non amate davvero, Mr. Gray» rispose la duchessa con finta tristezza.
   «Mia cara Gladys!» esclamò Lord Henry. «Come puoi dire questo? La storia d’amore vive di ripetizioni e le ripetizioni convertono un appetite in arte. E poi, ogni volta che uno ama è l’unica che ha mai amato. La diversità dell’oggetto non altera la singolarità della passione. Semplicemente la intensifica. Nella vita possiamo avere solo una grande esperienza al Massimo, e il segreto della vita sta nel riprodurre questa esperienza il più spesso possibile.»
   «Anche quando si è rimasti feriti, Harry?» chiese la duchessa dopo una pausa.
   «Soprattutto quando si è rimasti feriti» rispose Lord Henry.
   La duchessa si voltò a guardare Dorian Gray con una strana espressione negli occhi. «Cosa ne dice lei, Mr. Gray?» domandò.
   Dorian esitò per un momento. Poi tirò indietro il suo capo e rise. «Sono sempre d’accordo con Harry, duchessa.»
   «Anche quando ha torto?»
   «Harry non ha mai torto, duchessa.»
   «E la sua filosofia la rende felice?»
   «Non ho mai cercato la felicità. Chi la vuole? Ho sempre cercato il piacere.»
   «E l’ha trovato, Mr. Gray?»
   «Spesso. Troppo spesso.»
   La duchessa sospirò. «Io sto cercando la pace,» disse, «e se non mi vado a vestire, stasera non l’avrò.»
   «Permetta che le colga qualche orchidea, duchessa» esclamò Dorian, alzandosi in piedi e avviandosi verso la serra.
   «Stai flirtando vergognosamente con lui» disse Lord Henry a sua cugina.
   «Dovresti stare attenta. È molto affascinante.»
   «Se non lo fosse, non ci sarebbe battaglia.»
   «Greco contro greco, allora?»
   «Sto dalla parte dei Troiani. Hanno lottato per una donna.»
   «Furono sconfitti.»
   «Ci sono cose peggiori che essere catturati» rispose.
   «Tu galoppi a briglia sciolta.»
   «Il passo dà la vita» fu la risposte.
   «Lo scriverò nel mio diario stasera.»
   «Cosa?»
   «Che una bambina ustionata ama il fuoco.»
   «Non mi sono nemmeno scottata. Le mie ali sono intatte.»
   «Le usi per tutto, tranne che per volare.»
   «Il coraggio è passato dagli uomini alle donne. È una nuova esperienza per noi.»
   «Hai una rivale.»
   «Chi?»
Lord Henry rise. «Lady Narborough» bisbigliò. «Lei lo adora.»
   «Mi metti in apprensione. L’attrazione per l’antichità è fatale a noi che siamo romantiche.»
   «Romantiche! Voi avete tutti i metodi scientifici.»
   «Gli uomini ci hanno educato.»
   «Ma non ve l’hanno spiegati.»
   «Descrivi il nostro sesso» lo sfidò.
   «Sfingi senza segreti.»
   Lei lo guardò sorridendo. «Com’è lento Mr. Gray!» disse. «Andiamo a dargli una mano. Non gli ho ancora detto il colore del mio vestito.»
   «Ah! Sei tu che devi intonare il tuo vestito ai suoi fiori, Gladys.»
   «Sarebbe una resa prematura.»
   «L’arte romantica comincia al suo culmine.»
   «Devo riservarmi una possibilità di ritirata.»
   «Alla maniera dei Parti?»
   «Loro trovarono la salvezza nel deserto. Io non potrei farlo.»
   «Alle donne non è sempre concessa una scelta» rispose, ma non aveva ancora finito la frase che dall’estremità della serra giunse un lamento soffocato, seguito dal suono sordo di un tonfo. Tutti balzarono in piedi. La duchessa rimase impietrita dal terrore. E con la paura negli occhi Lord Henry si precipitò tra le palme ondeggianti per trovare Dorian Gray svenuto, come se fosse morto, steso sulle mattonelle del pavimento.
   Fu trasportato subito nel salotto azzurro e adagiato su un sofà. Dopo poco riprese conoscenza e si guardò intorno con un’espressione stordita.
   «Cosa è successo?» chiese. «Oh! Ricordo. Sono al sicuro qui, Harry?» e cominciò a tremare.
   «Mio caro Dorian,» rispose Lord Henry, «sei soltanto svenuto. Tutto qui. Ti d evi essere stancato troppo. Faresti meglio a non scendere per cena. Prenderò io il tuo posto.»
   «No, verrò» disse, cercando di rimettersi in piedi. «Preferisco venire. Non devo restare solo.»
   Andò nella sua camera e si vestì. Nel suo comportamento a tavola c’era un’allegria sfrenata, ma ogni tanto un brivido di terrore lo scuoteva quando ricordava che, schiacciata contro la vetrata della serra, come un fazzoletto bianco, aveva visto la faccia di James Vane.



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